giovedì 19 febbraio 2015

EFSA e limiti dei PFAS - Facciamo un po' di chiarezza


martedì 17 febbraio 2015

EFSA e limiti dei PFAS - Facciamo un po' di chiarezza

Molti di coloro che si interessano di PFAS dimostrano di no sapere di cosa. L'EFSA non si è mai occupata di valori dell'acqua potabile ma di dose totale tollerabile giornaliera che comprende la dose totale di PFAS che ci sorbiamo, oltre che con l'acqua, anche con gli alimenti, con l'aria che respiriamo, con la polvere di casa ecc. A me sembra che questi decisori politici e sanitari fanno una confusione enorme. Anche per questo dovrebbero andarsene a casa. L’EFSA ha stabilito una TDI (Tolerable Daily Intake o dose giornaliera tollerabile di 1500 nanogrammi per kilo di peso corporeo (NON per litro di acqua) al giorno per il PFOA e di 150 ng/kg per il PFOS. Questo significa che un bambino di dieci chili potrebbe assumere fino a 15.000 ng di PFOA al giorno senza avere problemi di salute ( e questo è da dimostrare).

Questi 15000 ng totali, saranno quindi forniti da diverse fonti o sorgenti di PFAS: una dall’acqua potabile, una parte dagli alimenti, un’altra parte dall’aria che inspiriamo, un’altra parte dalla polvere di casa ecc. ecc.
Quindi voi che siete curiosi vi chiederete: è possibile calcolare il contributo relativo di ognuna di queste fonti. Ma certo che è possibile, che domande fate.

Allora, secondo l’EFSA ( e molti altri enti)  l’acqua potabile contribuirebbe per un 20% alla TDI totale di PFAS. Perciò, nel caso del PFOA, ammesso che un bambino beva un litro di acqua al giorno, questa anche se contenesse 3000 ng/L di PFOA, apporterebbe solo il 20% della dose totale (15.000 x 0,2= 3.000). Il bambino potrebbe assumerne per altre vie altri 12000 ng al giorno senza avere problemi di salute, secondo l’EFSA (affermazione scientificamente non dimostrata).
Tutto bene, allora, perché anche se ne beve di due litri con 3000 mg ci sarà ancora un margine di sicurezza notevole.

Non va bene per niente, miei cari per vari motivi, altrimenti non sarei qui a farvi perdere tempo.
Primo, la quota relativa del 20% all’acqua potabile potrebbe andar bene per le zone con acqua potabile scarsamente contaminata. Secondo lo stato del Minnesota, USA, nel caso di falde acquifere pesantemente inquinate il contributo relativo dell’acqua potabile alla TDI può arrivare al 60%, percentuale che si ottiene con un litro di acqua contenente 9000 ng/L (15.000 x 0,6= 9000).  E cosa succede se quel bambino ne beve 1,5 litri al giorno di quell’acqua? Quasi sicuramente supera ogni giorno la TDI “permessa” dall’EFSA, soprattutto se mangia spesso pesce, magari pescato nelle acque anch’esse contmainate dalal stessa quantità di PFOA, E se il pozzo privato ne contiene 19.000 ng/L come pare sia successo a Lonigo? Allora ne basta anche tre quarti al giorno per superare la TDI.

Secondo, come dicono chiaramente i curatori del sito dell’ULSS20 di VREnti regolatori diversi hanno proposto nel recente passato differenti dosi tollerabili per PFOA e PFOS, o valori guida nell’acqua potabile, anche partendo dagli stessi dati sperimentali. Tali divergenze rispecchiano le difficoltà insite nel risk assessment dei composti perfluoroalchilici, per le loro non comuni caratteristiche chimiche e biologiche” (notare l’affermazione .. anche partendo dagli stessi dati sperimentali, il che pone il problema della validità biologica di queste estrapolazioni o elucubrazioni, per meglio dire, ma di questo parleremo un’altra volta).
Per esempio l’EPA (grosso modo l’equivalente del nostro ministero per l’ambiente ) negli USA ha stabilito una TDI di 200 ng/kg al giorno per il PFOA e 80 ng/kg per il PFOS (vedi tabella sul sito ULSS 20).
Perché le autorità regionali hanno scelto i valori dell’EFSA? E perché negli incontri pubblici autorevoli rappresentanti delle istituzioni sanitarie locali e regionali non hanno mai fatto cenno all’esistenza di queste TDI più “restrittive”. Forse perché se si adottasse la TDI dell’EFSA, il PFOA non dovrebbe superare i 400 ng/L nel caso del bambino di 10 kg (200x10= 2000; 2000 x 0,2= 400). E in Veneto si permettono 500 ng/L.

Terzo, l’EFSA non si è mai occupata dei PFAS diversi da PFOA e PFOS, pertanto nessuno sa cosa comporta l’esposizione a tali molecole.
Infine, perché nel primo parere del 7/6/2013 dell’Istituto Superiore di Sanità a firma Loredana Musmeci, si affermava a chare lettere la preferenza per la TDI dell’EPA, mentre nel secondo parere del gennaio 2014 la stessa autrice fa marcia indietro e non fa più alcun cenno alla TDI più restrittiva dell’EFSA.
Qualcuno potrebbe fare qualche collegamento malizioso co i 450.000 euro che la Regione Veneto ha stabilito di versare all’Istituto Superiore di Sanità per le loro preziose consulenze fornite nella gestione del caso PFAS, ma noi no.

Noi speriamo solo di aver fatto un po’ di chiarezza e di aver contribuito a fa comprendere il vero significato della TDI dell’EFSA che, dimenticavo, è stata stabilità da un gruppo di esperti almeno dei quali era affetto da gravi conflitti di interesse, essendo sponsorizzata da industrie chimiche e produttrici di PFAS. Secondo le stesse regole dell’EFSA, molti di questi ricercatori non avrebbero potuto essere nominati fra gli esperti dell’EFSA, ma anche di questo parleremo un’altra volta.

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