venerdì 24 giugno 2016

Siamo stati in audizione a Roma presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie !

Cari amici voglio condividere con voi quanto è accaduto a Roma nel corso della audizione alla commissione parlamentare:
Ci aspettavamo di essere liquidati dopo pochi minuti ed invece l' audizione ha avuto una durata superiore ai 40 minuti in cui abbiamo potuto esporre quanto avevamo scritto sul documento, ma anche molte altre cose non comprese nella sintesi scritta. Ci sono state parecchie domande sulla questione poste in particolar modo dalla senatrice Puppato ma anche dal senatore Bratti e da altri componenti la commissione stessa .
Abbiamo avuto modo di percepire che molte delle cose che abbiamo posto all'attenzione dei commissari non fossero da loro conosciute.
La conferma di ciò è arrivata nel pomeriggio quando Giorgio Zampetti ha avuto modo di interloquire con il Senatore Bratti
Credo che questo sia un passo importante per la nostra battaglia e vi voglio ringraziare tutti per il lavoro e la tenacia che sempre avete dimostrato.
Con affetto 
Piergiorgio
Questo il nostro lavoro inviato alla Commissione :  ALLA COMMISSIONE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI
La situazione di inquinamento ambientale da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto
Pregiatissimo Presidente Bratti,
Onorevoli componenti della Commissione,
1. Premessa
I temi sottoposti alla Commissione sono estremamente importanti e urgenti per il terriotorio veneto, dal momento che si tratta di problematiche, quelle connesse alla presenza nell'ambiente di sostanze perfluoro-alchiliche, tutt'altro che nuove e che risalgono alla fine degli anni '70. È infatti nel 1977 che viene alla luce il primo caso accertato di inquinamento da composti fluorurati, quando l'allora Rimar (Ricerche Marzotto ora Miteni S.p.A ) contamina le falde dei comuni di Creazzo, Sovizzo e Monteviale, costringendo i tre comuni all'abbandono delle loro fonti di approvvigionamento idrico per l'acqua potabile. Una interrogazione dell’Onorevole Edoardo Ronchi, discussa alla Camera dei Deputati nella seduta del 14 luglio 1988, faceva significativo riferimento a carichi di peci fluorurate (si tratta dei residui derivanti dal trattamento delle sostanze in discorso) smaltite dalla società Rimar Chimica S.p.A. (Ricerche Marzotto ora Miteni S.p.A.) nel 1987 attraverso la ditta di autotrasporti Cremonini F.lli s.n.c. di Affi (VR). Dalla docu-mentazione prodotta, allegata all'interrogazione, risultava che l’autotrasportatore veronese (privo di autoriz-zazioni idonee a svolgere tali attività) nell’estate del 1987 aveva recapitato due ingenti carichi di rifiuti tos-sici (uno di 134,2 tonnellate e l’altro di 18,3 tonnellate), provenienti dalla società Rimar appunto, presso il porto commerciale di Pisa. Carichi successivamente imbarcati sulla nave M/N Line (battente bandiere della Germania Federale) con destinazione a Port Koko in Nigeria. Risulterà in seguito che in quella località sa-ranno rinvenuti ingenti cumuli di rifiuti tossici abbandonati senza controllo nei pressi della costa.
Le sostanze perfluoralchiliche tornano di nuovo all'attenzione generale il 25.03.2013, quando il CNR de-nuncia, attraverso la pubblicazione di uno studio condotto nel bacino del Po, come nel bacino dell’Agno Fratta Gorzone, anche a monte dello scarico del Collettore Arica, si rilevassero concentrazioni di pfoa molto elevate, spesso superiori a 1000ng/litro. Valori che, come si evince dal rapporto dell'istituto, destavano una certa preoccupazione dal punto di vista ambientale. Cosi come destava ancora più preoccupazione, la concentrazione di queste sostanze nelle acque potabili campionate da punti di erogazione pubblica e privata, paventando un possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevevano queste acque.
2. Problemi e criticità
1) A tutt’oggi, nonostante l’applicazione di filtri a carboni attivi da parte dei gestori degli acquedotti pubblici, queste sostanze vengono rilevate in maniera crescente man mano che si esaurisce il sistema di fil-traggio, con la necessità di ingenti interventi di manutenzione e cambio filtri che comportano, oltre ad una gestione particolarmente complessa del sistema, il dispendio di notevoli risorse economiche da parte dei ge-stori del servizio idrico. Elementi che evidenziano il carattere emergenziale della misura dei filtri che, anche secondo il parere dell’Istituto Superiore di Sanità, dovrebbe essere riservata al breve periodo, qualora non fosse praticabile l’adozione di approvvigionamenti alternativi. Alla data attuale, inoltre, ci sono ancora mi-surazioni di pfoa e pfos che superano in maniera consistente il valore di 100 ng/l, valore fissato dalle autorità tedesche quale obbiettivo di qualità a lungo termine (esposizione per tutta la vita) genericamente indicato per le sostanze non genotossiche. Ancora più preoccupanti sono le concentrazioni di pfas in molti pozzi privati adibiti anche all’uso umano nel territorio interessato, pozzi per i quali ad oggi non esiste ancora un mo-nitoraggio completo da parte degli enti preposti.
2) Mancano ancora indicazioni precise sull’uso delle acque superficiali contaminate destinate all'irriga-zione di colture agricole, né si è a conoscenza, al momento, di progetti per convogliare acque non contami-nate da utilizzare nel settore agricolo, per evitare ulteriore diffusione delle sostanze contaminanti.
3) Destano preoccupazione le quantità di pfas riscontrate all’uscita del Collettore Arica, ubicata nel fiume Fratta all’altezza Del Comune di Cologna Veneta (Vr) che, a detta del dottor Restaino di Arpa Veneto, si possono calcolare in 200 kg annui; misura, pari a circa 0,540 kg/giorno, che calcolata in ng/giorno (nano-grammi al giorno) giunge allo scioccante numero di 540 miliardi di ng/giorno. Anche in questo caso non è ancora stata posta in essere alcun tipo di ordinanza per evitare l’uso irriguo di tale corso d’acqua. Attual-mente l’unica “fonte di abbattimento” di queste sostanze in uscita dal collettore Arica, è rappresentata dall'immissione di una diramazione del canale irriguo LEB (Lessinio-Euganeo-Berico), situata poco più a valle dell’uscita del collettore stesso. Il canale, come da concessione, garantisce l'immissione di 6 mc/sec di acqua per 365 giorni all'anno senza interruzione e senza variazioni di portata (condizioni che spesso mettono in difficoltà gli altri usi idrici che dipendono dal canale stesso, soprattutto nei momenti di maggiore siccità in cui le portate si riducono). Si tratta, di fatto, di una diluizione dello scarico del collettore, che riduce i valori di concentrazione di pfas nel tratto di fiume a valle, non intervenendo però in nessun modo sui sopracitati quantitativi di sostanze scaricate nel corso d'acqua. Importante sottolineare, infine, che i cinque depuratori di: Trissino, Arzignano, Montecchio Maggiore, Montebello e Lonigo, che confluiscono nello stesso collettore, non sono in grado di trattenere le sostanze perfluoroalchiliche.
4) Mancano ancora dati precisi sulla contaminazione delle matrici alimentari, nonostante un primo studio posto in essere dalla Regione Veneto, dimostrava una contaminazione in almeno il 10% degli alimenti campionati su tutto il territorio esposto alla contaminazione da pfas. Studio che però, a detta dello stesso I-stituto superiore di sanità , deve essere integrato con ulteriori dati ed indagini. I risultati comunque sembre-rebbero evidenziare come le sostanze in questione siano entrate nella catena alimentare, con gravi conse-guenze anche per la salute umana. Nessuna indicazione però è giunta dagli enti preposti sulle eventuali pre-cauzioni da adottare nel caso di contaminazione.
5) Per quanto riguarda il biomonitoraggio umano, si è dimostrato che nei territori più esposti (i Comuni di Brendola, Sarego e Lonigo in provincia di Vicenza) le persone testate evidenziano elevate e preoccupanti concentrazioni di pfas nel sangue di gran lunga superiori rispetto alle persone testate al di fuori delle zone di controllo. Non si è a conoscenza, nemmeno in questo caso, di alcuna particolare indicazione di tipo pre-ventivo-sanitario, promanata dalle autorità competenti, a tutela della salute umana. Nessuna indicazione di carattere preventivo sanitario è stata inoltre offerta alle fasce più esposte della popolazione (anziani, malati donne incinte e bambini) nonostante la pluriennale esposizione all’inquinamento da sostanze perfluoroal-chiliche che tali categorie hanno certamente subito.
6) La regione Veneto ha annunciato una serie di iniziative volte al monitoraggio e allo screnning della popolazione esposta; azioni che comporteranno un notevole sforzo economico da parte dello Stato con ovvi riflessi anche sui cittadini in termine impositivi. Legambiente e il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas ri-tengono invece sia più appropriata e molto meno dispendiosa una prima indagine conoscitiva utilizzando i dati già in possesso delle varie Ulss territorialmente coinvolte (dati di incidenza della malattie, registro tu-mori, registro decessi, ricoveri ospedalieri, ect.) per poi, eventualmente, effettuare un’indagine più appro-fondita sulle popolazioni che espongano tassi di incidenza di malattie legate all’esposizione ai pfas. A tal proposito si ricordi lo studio al quale hanno lavorato gli esperti dr.ssa Marina Mastrantonio, dr.ssa Raffaella Ucelli, dr. Paolo Screpanti di Enea e dal dr. Edoardo Bai, dr. Vincenzo Cordiano e dr. Paolo Crosignani di Isde e presentato a Roma il 5 maggio 2016. Elaborato, realizzato attingendo ad esigui fondi, che ha eviden-ziato i seguenti dati:
a) un eccesso di mortalità standardizzata per diabete mellito;
b) infarto acuto del miocardio, malattie cerebrovascolari, malattia di Alzheimer e cancro del rene nei comuni che nel 2013 avevano livelli di PFOS superiori a 30 ng/l
e/o PFAS totali >500 ng/L rispetto a quelli senza PFAS nella loro acqua potabile.
c) l'eccesso di mortalità varia dal 12 al 30% per le varie patologie e si conferma costante per tutto il periodo preso in considerazione, cioè 1980-2009, suggerendo che l'esposizione all'acqua contaminata da PFAS possa rappresentare un rischio ancora attuale per i residenti in un'ampia fascia del Veneto con una probabile incidenza di gravi patologie mediche nelle popolazioni esposte alla presenza dei perfluoroalchilici.
7) Con una indagine di questo tipo, si avrebbe anche un rilevante contenimento degli investimenti eco-nomici attualmente previsti dalla Regione per queste attività, favorendo, ad esempio, gli investimenti neces-sari alla sostituzione delle fonti di approvvigionamento idrico contaminate, sia per l’uso potabile che irriguo. Infatti appare poco utile controllare lo stato di salute delle popolazione esposte e allo stesso tempo lasciare che continuino ad alimentarsi con acque e cibi contaminati. Risparmio di investimenti che potrebbero essere destinati pure al finanziamento di studi e progetti di bonifica per la falda contaminata che, lo si ricorda, ri-sulta essere la più estesa del Paese.
8) Presenza sul territorio di aziende (ad esempio cartiere) che, per esigenze produttive, necessitano di importanti quantitativi d’acqua che viene prelevata da falde gravemente inquinate, e successivamente smal-tita senza essere sottoposta a trattamenti in grado di trattenere i perfluoroalchilici. Importante sottolineare inoltre che probabilmente l’inquinamento da pfas, anche a causa delle numerose discariche presenti sul terri-torio, è molto più esteso di quello finora rilevato (con particolare riferimento al territorio trevigiano).
9) Verosimile è l’utilizzo dei fanghi di depurazione quale ammendante agricolo (casi analoghi sono stati oggetto di indagini giudiziarie). Situazione, questa, che se accertata comproverebbe una ancora più estesa contaminazione da perfluoroalchilici e ben oltre le zone attualmente monitorate. Unica misura idonea appare a tal proposito il divieto di spargimento di tali sostanze in agricoltura.
3. Le azioni svolte da Legambiente e dal Coordinamento Acqua Libera dai Pfas
3.1 Iniziative giudiziarie
Nell’ottobre del 2014 Legambiente e Coordinamento Acqua Libera dai Pfas depositano alle Procure della Repubblica di Verona e Vicenza un esposto contro ignoti chiedendo agli organi inquirenti di verificare la sussistenza delle ipotesi delittuose di cui agli art. 434, 440 e 674 del C.P.; nello stesso esposto si chiede il sequestro preventivo ex art.321 c.p. degli impianti di scarico della Miteni, dei pozzi artesiani posti a valle dell’impianto e del collettore Arica in Cologna Veneta.
L’esposto è corredato da una relazione di consulenza tecnica redatta dal dr.Vincenzo Cordiano che attesta la pericolosità dell’esposizione ai pfas.
Nel marzo del 2016 Legambiente deposita alla Procura della Repubblica di Verona una seconda segnalazione chiedendo di valutare la sussistenza della nuova ipotesi introdotta dalla L.68/2015 di cui all’art. 452 quater c.p.
Tale azione giudiziaria è concertata con la società consortile a capitale pubblico Acque Veronesi s.c.a.r.l., società che gestisce il Servizio Idrico Integrato nella provincia di Verona, e con il Consorzio LEB, ente pub-blico avente come scopo la valorizzazione e razionalizzazione delle risorse idriche e comprensivo dei Con-sorzi di Bonifica Adige Euganeo, Alta Pianura Veneta e Bacchiglione.
3.2 Azioni dirette a fornire un quadro conoscitivo sulla vicenda
Il 25 Febbraio 2014 Legambiente organizza in Cologna Veneta (VR) un primo convegno dal Titolo “IN-QUINAMENTO DELLE FALDE ACQUIFERE DA PFAS. Durante tale convegno il Direttore di Arpav Vicenza dott. Vincenzo Restaino conferma l’allarme lanciato dall’associazione ambientalista sull’inquinamento da perfluoroalchilici descrivendo un inquinamento delle falde acquifere ultra decennale facendolo risalire almeno al 1977 data della prima contaminazione accertata da sostanze fluorurate.
Il 28 maggio 2014 nella sede del circolo Legambiente di Perla blu di Cologna Veneta si costituisce il Coor-dinamento Acqua libera dai Pfas, un coordinamento che ad oggi riunisce 15 tra gruppi e associazioni e semplici cittadini del territorio interessato dall’inquinamento da pfas.
Nel settembre dello stesso anno una delegazione del Coordinamento con il Presidente Regionale di Legam-biente Veneto Luigi Lazzaro incontra i vertici regionali Veneti di Ambiente e Sanità, presenti anche i vertici Arpav; scopo dell’incontro è capire a che punto sono le azioni di contrasto all’inquinamento messe in atto dalla Regione Veneto.
Il 26 febbraio 2015 Legambiente ed il Coordinamento Acqua Libera dei Pfas organizzano una seconda as-semblea pubblica a titolo “INQUINAMENTO DELLE FALDE ACQUIFERE DA PFAS A CHE PUNTO SIAMO”; nel corso del Convegno viene presentato uno” Studio preliminare sui possibili effetti sulla salute, dell’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche nelle provincie di Padova Rovigo, Venezia, Vicenza e Verona” redatto dalla dr.ssa Marina Mastrantonio di Enea, dal dr. Edoardo Bai di Isde dal Dott.Vincenzo Cordiano di Isde e dal dr. Paolo Crosignani, già direttore della UO Complessa di Epidemiologia Ambientale e registro Tumori dell’Istituto Tumori di Milano.
Le conclusioni dello studio offrono dati fortemente indicativi di un rischio cancerogeno e di altre malattie per la popolazione esposta. Si rileva inoltre che, al di là della realizzazione di ulteriori studi, è necessario ridurre al minimo l’esposizione della popolazione mediante provvedimenti sull’acqua potabile e sulle emis-sioni in aria dell’azienda.
Il 2 ottobre 2015 Legambiente ed il Coordinamento incontrano il Dott. Adolfo Fiorio, Direttore del diparti-mento di Prevenzione (sian) dell’ULSS 5 di Arzignano; incontro richiesto dopo che le prime comunicazioni di tale ente fornivano ai detentori di pozzi privati un’errata indicazione rispetto ai limiti di perfomance adot-tati dalla Regione Veneto.
Nello stesso mese di ottobre Legambiente ed il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas incontrano le rappre-sentanze sindacali della Miteni nel tentativo di coinvolgere gli stessi dipendenti nell’opera di sensibilizza-zione sul gravissimo problema dell’inquinamento da pfas.
Il 17 dicembre 2015 Legambiente ed il Coordinamento organizzano il terzo convegno in Cologna Veneta a titolo “INQUINAMENTO DELLE FALDE ACQUIFERE DA PFAS UN DISASTRO AMBIENTALE”. Nel corso dell’incontro vengono presentate le due petizioni con raccolta firme rivolte a tutti i cittadini ed indirizzate ai vertici Regionali e ai Ministeri di Ambiente e Sanità per richiedere l’allacciamento a fonti non contaminate degli acquedotti inquinati da pfas e la fissazione dei limiti di legge per la presenza dei perfluoroalchilici nelle acque di falda e di scarico, limiti da equiparare alle normative mondiali più restrittive attualmente in vigore.
Il 20 marzo 2016, due giorni prima della seduta straordinaria del Consiglio Regionale del Veneto avente all’ordine del giorno la “questione pfas”, Legambiente ed il Coordinamento inviano a tutti i consiglieri re-gionali una missiva recante una serie di richieste, che vengono chiamati a presentare direttamente durante la seduta consiglio. Le richieste della lettera sono:
a) avvio immediato di uno screening epidemiologico su tutta la popolazione interessata dalla contaminazione, affidando l’incarico a tecnici indipendenti come avvenuto negli Stati Uniti nell’analoga vicenda “ Dupont”;
b) avvio di un’indagine su di un ampio e rappresentativo campione di alimenti con immediata pubblicità delle risultanze al fine di preservare la salute dei cittadini delle zone colpite e di tutto il territorio nazionale;
c) sostituzione delle fonti di approvvigionamento idrico degli acquedotti contaminati;
d) attivazione della Regione Veneto al fine di un intervento deciso presso i Ministeri competenti affinchè fossero fissati dei limiti per Pfas nelle acque di falda. Limiti allineati ai più restrittivi vigenti in altre nazioni (ad esempio negli Stati Uniti il limite è di 70ng/L);
e) valutazione di richiedere lo stato di calamità ambientale;
f) adottare le opportune azioni giudiziali sia in sede civile che penale affinchè vengano individuati e perse-guiti i responsabili della grave compromissione ambientale e individuate ulteriori responsabilità negli enti di controllo;
g) costituzione di una commissione d’inchiesta in seno al Consiglio Regionale e di un tavolo di confronto con tutti gli enti pubblici e privati interessati al problema.
Il 14 maggio 2016 Legambiente ed il Coordinamento Acqua libera dai Pfas organizzano a Lonigo (VI) il quarto convegno sul problema Pfas dal titolo “LIBERIAMO LE NOSTRE ACQUE DAI PFAS - L’ACQUA E UN BENE PRIMARIO - CHI INQUINA PAGHI”; nell’occasione viene presentato lo Studio di Enea e Isde che, rafforzando in maniera decisa lo studio preliminare già presentato nel dicembre del 2015, conferma l’aumento di determinate patologie nella popolazione esposta alla contaminazione da pfas. Nello stesso convegno interverranno il Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente Onorevole Barbara Degani e il Presidente di Coldiretti Veneto Martino Cerantola.
In questi tre anni Legambiente ed il Coordinamento Acqua libera dai Pfas sono intervenuti in decine di con-vegni, manifestazioni ed incontri sul tema confrontandosi spesso con le amministrazioni locali e con gli enti preposti alla salute e alla prevenzione pubblica. Nello stesso periodo è continuata ininterrottamente la cam-pagna informativa rivolta alla cittadinanza sulla portata gravissima della contaminazione.
4. Le proposte di Legambiente
Legambiente ed il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas chiedono ai pregiatissimi Onorevoli di questa Commissione di attivarsi, per quanto di loro competenza, affinché:
1. nel territorio inquinato da sostanze perfluoroalchiliche le fonti di approvvigionamento degli acque-dotti contaminati vengano sostituite, individuando tempi, modalità e risorse economiche per attuare gli in-terventi necessari quanto prima;
2. vengano adottate iniziative di legge ed atti di indirizzo ai Ministeri competenti affinché nel nostro ordinamento vengano stabiliti dei limiti alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle acque, recependo limiti improntati al criterio di massima precauzione e le indicazioni derivanti dalle attuali normative interna-zionali maggiormente cautelative e stringenti;
A supporto di queste proposte ci sono oggi 10 mila firme di persone residenti nei territori interessati, che hanno aderito alla petizione di Legambiente e Coordinamento Acqua Libera dai Pfas.
Riteniamo inoltre prioritario:
3. costituire una commissione di indagine che approfondisca le cause e l'estensione dell'inquinamento nonché l'impatto sanitario dello stesso nella popolazione residente nelle zone interessate;
4. approvare mozioni di indirizzo al Governo e ai Ministeri competenti per l'adozione di un piano per il risanamento e la bonifica di tutta l'area compresa nel bacino dell'Agno – Fratta – Gorzone
5. dal punto di vista sanitario appare ineludibile uno studio sui lavoratori ed sugli ex lavoratori della so-cietà Miteni (probabile fonte dell’inquinamento in discorso): i primi esposti al rischio legato alla produzione di sostanze perfluoalchiliche.
6. occorre porre fine alla immissione nei corpi ricettori e, comunque, nelle acque di falda di queste so-stanze da parte dell’azienda Miteni Spa di Trissino (VI) che, giova ribadirlo, viene ritenuta da Arpav la prin-cipale fonte di inquinamento.
7. Accanto a ciò consegue la necessaria bonifica dei siti contaminati da parte della stessa azienda sulla base del principio “chi inquina paga”. Per la bonifica è prioritaria, a nostro avviso, l'individuazione di even-tuali sorgenti di contaminazione ancora presenti nel suolo e nel sottosuolo e un'accurata valutazione delle possibili soluzioni, alla luce delle difficoltà dettate dall'estensione della falda interessata e del territorio co-involto dalla contaminazione;
8. Sotto altro profilo appare stringente la necessità di potenziamento degli organi statali preposti al con-trollo e alla prevenzione sul territorio con adeguato censimento dei siti potenzialmente contaminati. Si tratta infatti di un territorio oltremodo negletto a causa del massiccio impatto inquinante derivante dal comparto chimico, industriale e conciario del bacino del Chiampo e da un’economia agricola di modello intensivo che utilizza abbondantemente prodotti fitofarmaci e fitosanitari.
9. Alla stregua del ricordato principio del “chi inquina paghi”, si chiede infine alle istituzioni regionali e dello Stato di dare mandato ai loro uffici legali affinché vengano intraprese, a fianco di Legambiente e del Coordinamento Acque Libere dai Pfas, le opportune azioni sia in sede civile che penale nei confronti dei responsabili.
Ringraziamo per l’attenzione che ci è stata concessa.
Roma 22 giugno 2016
Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto
Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo di Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta (Vr) e portavoce del Coordinamento Acqua Libera dai Pfas
Luca Tirapelle, presidente Centro di Azione Giuridica di Legambiente Veneto

domenica 19 giugno 2016

Ecoreati, approvata la riforma delle agenzie ambientali


  • Il secondo tassello per combattere i crimini ambientali

    Ecoreati, approvata la riforma delle agenzie ambientali

  • Le novità introdotte: ruolo centrale dell’Ispra, un sistema meno frammentato, omogeneità tra le branche regionali grazie ai Lepta e una banca dati comune a livello nazionale
Ecoreati, approvata la riforma delle agenzie ambientali

(Rinnovabili.it) – La Camera ha approvato con 354 voti a favore e l’astensione della Lega Nord la riforma del Sistema nazionale per la protezione dell’Ambiente e la disciplina dell’Ispra. Il provvedimento era fermo da due legislature a Montecitorio ed è importante per rafforzare il ddl ecoreati dello scorso maggio. Dopo che i crimini ambientali sono entrati nel codice penale, infatti, era più che mai necessario potenziare e migliorare il sistema dei controlli. Esprime soddisfazione il ministro dell’Ambiente Galletti: «Il nuovo testo rende finalmente uniformi sul territorio e omogenee sotto il profilo tecnico le attività di controllo sull’ambiente».
Tra le novità introdotte, oltre al ruolo centrale dell’Ispra, figurano i Livelli essenziali di prestazioni tecniche ambientali, i cosiddetti Lepta. Si tratta di una misura comune, un parametro di riferimento valido e vincolante per tutte le agenzie regionali. A redigerlo sarà l’Ispra con una cadenza di aggiornamento triennale e dovrà avere l’approvazione del ministero dell’Ambiente.
La riforma istituisce poi il Sistema informativo nazionale ambientale: una banca dati comune dove saranno convogliate tutte le informazioni in possesso delle branche regionali. Il sistema di monitoraggio e prevenzione contro i crimini ambientali cerca così di diventare meno frammentario e aumentare il grado di cooperazione tra le diverse parti del territorio.

Positivi anche i commenti provenienti da Legambiente, che auspica l’avvio di una riconversione ecologica del paese. E guarda ai prossimi passi ancora da compiere.
«Dopo la legge sulle agenzie ambientali – commenta Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente – ora il Parlamento approvi le altre riforme, attuabili in questa legislatura come ad esempio la legge sul consumo di suolo, quella sulle agromafie e i delitti contro gli animali, la norma per semplificare l’abbattimento degli ecomostri, la costituzione di una grande polizia ambientale strutturata sul territorio a partire dalle migliori esperienze maturate dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo forestale dello Stato. Infine il rapido recepimento del pacchetto sull’economia circolare in discussione al parlamento europeo che sarà approvato nei prossimi mesi».

venerdì 17 giugno 2016

I percussori dei pfas presenti in falda ancora dal 1977

http://www.istitutoveneto.org/pdf/Vulnerab_Inquinamento_Falde.pdf 9 set 1977 ... Lorenzo Altissimo. Centro Idrico Novoledo srl ... RIMAR. Anno 1977. Creazzo. Sovizzo. Monteviale. Colli Berici pozzo acq.tto. NAD ..... Page 77 ...

giovedì 16 giugno 2016

Acqua, nucleare: cosa resta dei referendum, 5 anni dopo


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Acqua, nucleare: cosa resta dei referendum, 5 anni dopo Il 12 e 13 giugno 2011, ventisei milioni di italiani hanno votato "Sì" a tre quesiti relativi ai servizi pubblici locali, tariffa dei servizi idrici e generazione di energia elettrica. Nel 2016, il Governo prepara leggi che considerano residuale la gestione pubblica, e le maggiori utility continuano ad aggregarsi. La vittoria contro l'atomo ci ha fatto risparmiare almeno 20 miliardi di euro

di Luca Martinelli - 10 giugno 2016

Oltre ventisette milioni di cittadini italiani il 12 e 13 giugno del 2011 parteciparono a un referendum popolare, votando 4 quesiti. 25.935.372 dissero sì all’abrogazione di una norma volta ad obbligare le società che si occupano dei servizi pubblici locali ad affidare la gestione tramite gara a una società per azioni; 26.130.637 dissero sì a una modifica della tariffa del servizio idrico integrato, eliminando la componente “remunerazione del capitale investito”; 25.643.652 dissero sì all’abrogazione delle nuove norme che avrebbero consentito la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare; 25.736.273, infine, dissero sì all’abrogazione della norma relativa al “legittimo impedimento” del Presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri a comparire in udienza penale.

Tre dei quattro quesiti riguardavano, quindi, ambiente e diritti. E cinque anni dopo rispondiamo alla domanda “che cosa è successo?”. 

Acqua, il referendum tradito
Secondo Giulio Citroni, che insegna Scienza politica all’Università della Calabria, e da un dozzina di anni studia i processi di governance nei servizi pubblici locali, “il referendum del 2011 è stato forse in questi anni il punto di massima chiarezza e la fonte di massima stabilità normativa raggiungibile”, tanto che nel 2012 la Corte Costituzionale “emette una sentenza fondamentale, che stabilisce che i tentativi di reintrodurre l’obbligo di gara sono anticostituzionali perché contradicono lo spirito e la lettera del referendum” (“Dismissioni! E poi?”, Guerini e associati, 2016). Chi ha votato il 12 e 13 giugno 2011, sostiene Citroni, lo ha fatto in modo non equivoco “contro l’obbligo di privatizzazione, contro la messa a profitto della gestione dei servizi idrici”.

Cinque anni dopo, non è cambiato (quasi) niente. Anzi, a livello governativo si assiste allo stravolgimento della legge per la ri-pubblicizzazione dell'acqua: il testo nato dalla proposta di iniziativa popolare del 2007 è stato approvato alla Camera, il 20 aprile scorso, in una versione che ne stravolge profondamente i contenuti (qui la nostra analisi).

Ma non c’è solo questo: il Governo guidato da Matteo Renzi ha deciso di muoversi lungo una direzione contraria al referendum, soprattutto con i decreti attuativi della legge Madia sulla riforma della pubblica amministrazione, i cui obiettivi espliciti, riportati nella relazione di accompagnamento, sono “la riduzione della gestione pubblica ai soli casi di stretta necessità” e il “rafforzamento del ruolo dei soggetti privati”.

Negli stessi decreti attuativi, inoltre, ritorna la previsione -per i servizi a rete- di “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” nella composizione della tariffa: è l’esatta dicitura che oltre 26 milioni di cittadini avevano abrogato nel 2011.

Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, tra i promotori del referendum, è così oggi impegnato nella campagna "Stop Madia". Il nuovo Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, decreto legislativo attuativo dell'art. 19 della L. 124/2015 (Legge Madia), è passato all'esame del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata Stato-Regioni, e verrà approvato in via definitiva -con tutta probabilità- entro la fine del mese di giugno.

Sullo sfondo, continuano i processi di aggregazione, che vedono protagoniste le società quotate in Borsa (la lombarda A2a, la emiliano-romagnola HERA, la ligure-piemontese IREN, la laziale ACEA): a inizio luglio, però, l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato dirà la sua sulla sostanzialmente fusione tra le multi-utilities A2a e LGH Group (società attiva nel lodigiano, nel cremonese e nel bresciano). La prima -di cui sono azionisti i Comuni di Milano e Brescia- potrebbe assumere una “posizione dominante”. La valutazione dell’Antitrust potrà offrire spunti importanti.            

Solo a Napoli, con l’esperienza di ABC, e la trasformazione di ARIN spa in soggetto di diritti pubblico, si è pienamente realizzato ciò che la volontà popolare aveva espresso nel 2011, ovvero -prendendo in prestito l’interpretazione della Corte Costituzionale- “rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua” (qui la storia di ABC Napoli, da Ae 172).

E qualcosa ha da insegnarci anche la vicenda romana, con le elezioni amministrative in corso: il Movimento 5 stelle ha paventato la possibilità di sostituire il management di ACEA, di cui il Campidoglio controlla il 51%; alcune società di analisti, però, sottolineano che un nuovo indirizzo alla politica industriale dell’azienda, prerogativa dell’azionista, potrebbe rappresentare un potenziale “pericolo” per gli altri azionisti, specie se questi interventi inseriscono in agenda temi come un aumento degli investimenti e una riduzione degli utili.

Nucleare, un risparmio di almeno 20 miliardi di euro
Cinque anni fa, ENEL aveva già individuato i siti in cui costruire quattro nuovi impianti nucleari, dal costo iniziale stimato di almeno 4,5 miliardi di euro: avrebbero dovuto consentire la generazione del 25% dell’energia elettrica prodotta ogni anno nel nostro Paese. Cantieri aperti nel 2013, si scriveva.

La vittoria dei “Sì” nel referendum, ha bloccato ogni investimento. E per fortuna, perché nel frattempo il mercato elettrico ha cambiato pelle. Basti pensare che le 4 nuove centrali nucleari avrebbero avuto una capacità complessiva di 6.400 Mw, mentre tra il 2013 e il 2014 le aziende proprietarie di centrali termoelettriche alimentate da carbone e gas naturale hanno chiesto la messa fuori esercizio, ovvero il distacco dalla rete, di una dozzina di impianti per una potenza complessiva di 7.788 Mw.

Anche ENEL -azienda quotata in Borsa, ma partecipata dallo Stato- si adattando al nuovo mercato elettrico: tra il 2015 e i primi mesi del 2016 ha diretto al ministero dello Sviluppo economico una richiesta di “messa fuori servizio esercizio” di 5 impianti, per una potenzia installata pari a 1.550 Mw, quasi quanto una centrale nucleare.

Che cosa è successo, nel frattempo? Nel 2009, l’anno in cui il governo iniziò a parlare di un ritorno al nucleare, il 74,8% dell’energia elettrica prodotta in Italia arriva da fonti non rinnovabili (gas naturale e carbone, su tutte); nel 2011, l’anno del referendum, la percentuale era scesa al 71,9%. Nel 2014 (ultimo dato aggregato disponibile), questa percentuale è scesa al 56,2%. A crescere sono state le fonti rinnovabili: +231,9% per l’eolico, +3294,6% per il fotovoltaico.

Nel 2008, inoltre, si stimava che tra il 2005 e il 2020 i consumi elettrici nel nostro Paese potessero crescere del 36,5%, fino a 423 Twh/anno. In realtà, i consumi sono cresciuti solo fino al 2007, e da allora sono scesi in termini assoluti del 10 per cento circa.

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martedì 14 giugno 2016

Emergenza Pfas nelle acque, i cittadini veneti dovranno pagare in bolletta i costi di depurazione

Emergenza Pfas nelle acque, i cittadini veneti dovranno pagare in bolletta i costi di depurazione

Emergenza Pfas nelle acque, i cittadini veneti dovranno pagare in bolletta i costi di depurazione
Ambiente & Veleni


Per distribuire nelle case acqua di rubinetto con livelli di sostanze perfluoro-alchiliche adeguati, i gestori del servizio idrico delle province di Verona, Vicenza e Padova devono sostenere investimenti rilevanti. Così le spese saranno addebitate ai consumatori

L’azienda inquina, i cittadini pagano. Nelle province venete colpite dall’emergenza Pfas nelle acque, gli utenti del servizio idrico saranno costretti a pagare di tasca propria i costi di depurazione e di monitoraggio degli inquinanti che secondo l’informativa Arpav dell’8 luglio 2013 sono riconducibili “prevalentemente allo scarico industriale della ditta Miteni spa”. La notizia è emersa nel corso dell’audizione del direttore generale dell’azienda Acque del Chiampo, Alberto Piccoli, di fronte alla Commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti. Per distribuire nelle case dei veneti acqua di rubinetto con livelli di sostanze perfluoro-alchiliche adeguati agli “obiettivi di performance” indicati dall’Istituto superiore di Sanità, i gestori del servizio idrico delle province di Verona, Vicenza e Padova devono sostenere investimenti rilevanti per l’abbattimento continuo dei Pfas con i filtri a carboni attivi e per le sofisticate analisi al nanogrammo sui microinquinanti. E le spese sostenute per le operazioni vengono scaricate in bolletta, che aumenterà di quasi il doppio in quanto i costi “potrebbero incidere per il 2 o 3 per cento della tariffa – ha spiegato al Parlamento il direttore dell’azienda Acque del Chiampo – che si attesterebbe non più al 4,5 per cento attuale, ma all’8 per cento”.
È così che la popolazione del Veneto avvelenata dalle sostanze perfluoro-alchiliche, in assenza di un responsabile individuato dalla magistratura, sarà costretta a pagarsi la depurazione dei pericolosi composti che negli ultimi trent’anni hanno provocato, secondo uno studio congiunto Enea-Isde, almeno 1260 morti in più di quelle attese. Nel luglio 2013 l’Arpav aveva indicato alla magistratura come fonte dell’inquinamento la ditta Miteni di Trìssino, che ha prodotto Pfas per quarant’anni nello stabilimento vicentino. Ma l’azienda non è mai stata indagata dalla Procura di Vicenza, che ha proceduto contro ignoti, e l’inchiesta è stata archiviata nel luglio 2014. “Abbiamo presentato una richiesta di risarcimento danni alla ditta che Arpav ritiene sia la principale, se non l’unica, fonte di contaminazione da Pfas – spiega alla Commissione rifiuti il gestore idrico della Valle del Chiampo – ma il 1 aprile 2016 Miteni respingeva fermamente le richieste avanzate, riservandosi addirittura di agire nei confronti della società per danno all’immagine”.
Gli investimenti complessivi del gestore Acque del Chiampo, che si aggirano intorno ai 2,4 milioni di euro (più 98 mila euro all’anno per la depurazione finché non verranno trovate fonti alternative) verranno così addebitati agli utenti in bolletta “salvo interventi straordinari”. A mitigare i costi a carico dei cittadini potrebbe intervenire lo stanziamento speciale chiesto dalla regione Veneto al governo, circa 100 milioni per “interventi strutturali” che verranno comunque sempre dalla contribuzione generale. Il Centro Veneto Servizi ad esempio, che gestisce il servizio idrico in 59 comuni tra le province di Padova e Vicenza (circa 250 mila persone), ha programmato interventi strutturali per 30 milioni di euro “per portare acqua non trattata dalle risorgive del Brenta verso la zona del montagnanese e ad alcuni comuni del vicentino”. Mentre Acque Vicentine e Acque Veronesi, le società che servono anche i capoluoghi di provincia Vicenza e Verona, hanno pianificato interventi rispettivamente per 2,3 e per 90 milioni di euro.
La città di Vicenza ha dovuto chiudere “il solo pozzo Scaligeri nella zona industriale ovest” mentre “per il resto – assicura il gestore – non c’è più nessuna contaminazione nella rete”.
Nel veronese invece si sta studiando una grande opera per far arrivare a 27 comuni acqua non contaminata “a est di Verona, con un’adduttrice fino a Madonna di Lonigo per circa 44 chilometri” proveniente dalla falda che rifornisce la città di Verona “dove distribuiamo – rassicura il dg di Acque Veronesi, Francesco Berton – acqua tal quale, un’acqua buonissima”. I quattro gestori del servizio idrico del Veneto hanno chiesto il risarcimento dei danni alla fabbrica Miteni, depositando perizie di consulenti idrogeologici. Intanto, il conto per la depurazione dell’acqua e il ripristino delle risorse idriche lo pagheranno gli avvelenati.

sabato 11 giugno 2016

Venite a firmare per i Referendum del Sociale e per l'acqua la petizione contro la legge Madia

Venite a firmare per i Referendum del Sociale e per l'acqua la petizione contro la legge Madia e sopratutto aiutateci! Utltimi giorni di raccolta firme! Grazie al super impegno di Donata Albiero e Titta Giovanni Fazio per tutti noi!
Si avvicina la scadenza della chiusura della campagna per la raccolta delle firme per i referendum.
Purtroppo, su alcuni, siamo indietro e rischiamo di non raggiungere l’obbiettivo delle 600.000 firme.
Tra questi quello sugli inceneritori (15 mega inceneritori nel Centro Sud e potenziamento dei 40 già funzionanti in tutto il paese. Un vero disastro cui tutti dovremmo ritenerci chiamati a far fronte.)
Ti chiedo pertanto un ultimo sforzo per dare slancio alla raccolta che, da noi (Ovest Vicentino), non è andata affatto male visto un concreto impegno di alcuni bravi partecipanti alla campagna che non si sono risparmiati. A loro va il nostro ringraziamento ma è ovvio che non possiamo puntare sempre sulle stesse persone, anche se, nemmeno questa volta si sono tirate indietro. Pertanto ti invitiamo a non lasciare passare senza una concreta risposta da parte tua questo che uno degli ultimi appelli.
Le scadenze in programma sono tre
VENERDI AL MERCATO DI MONTECCHIO 09-13
SABATO AL MERCATINO DI VALDAGNO 09-13
DOMENICA AL MERCATINO DI LONIGO PIAZZA GARIBALDI 09-12.30
TI CHIEDIAMO DI DARE RISCONTRO ALLLA PRESENTE IN OGNI CASO E, SE NE HAI LA POSSIBILITA’, DI INDICARCI ALMENO UNA DELLE SCADENZE CUI SEI IN GRADO DI PARTECIPARE.

A PRESTO DONATA
CiLLSA Cittadini per il Lavoro, la Legalità, la Salute e l'Ambiente .
Associazione aderente al Coordinamento veneto dei comitati per l'ambiente e al Nodo Triveneto per la decrescita
Pagina Facebook Cillsa, Blog http://www.jazzblueseindignazione.com/ http://donataalbiero.blogspot.it e mail cillsa4@gmail.com
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jazzblueseindignazione.com|Di Giovanni Fazio

Contaminazione da Pfas: i pericoli per la salute e le prime statistiche

vincenzo cordiano_isde_pfas_legambienteA seguito del biomonitoraggio eseguito dall’Istituto Superiore della Sanità su un campione di veneti, è appurato che sono potenzialmente 250.000 le persone contaminate da PFAS; 60.000 di queste presentano concentrazioni particolarmente alte e risiedono nella zona maggiormente colpita dall’inquinamento, le valli del Chiampo e dello Agno.
Sono coinvolti trenta comuni dell’ovest vicentino, assieme ad altri limitrofi, situati nel padovano, nella Marca e nel veronese: tutti attingono acqua da bacini idrografici soggetti alla contaminazione da PFAS.
Abbiamo chiesto a un osservatore da sempre attento a questo problema, il dottor Vicenzo Cordiano, medico, specialista in Ematologia e in Medicina Interna, Presidente della sezione di Vicenza dell’Associazione Medici per l’Ambiente- ISDE Italia, di tracciare una breve panoramica sui pericoli per la salute umana e sui comportamenti idonei a prevenirli.
Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) – le PFOA, le PFOS e molte altre meno note – sono state utilizzate in molti processi industriali per rendere impermeabili superfici all’acqua, all’olio e sporco (per es. nella realizzazione di tessuti impermeabili e di pellame, di padelle e pentolame con rivestimenti antiaderenti, delle schiume degli estintori di fuoco …).
Nella letteratura scientifica le PFAS sono ritenute sostanze tossiche e cancerogene in quanto interferenti o distruttori endocrini, ossia elementi estranei che, alterando le funzioni e l’equilibrio degli ormoni presenti nel corpo umano, possono interferire su processi organici (come l’autoregolazione di determinati valori nel sangue, la riproduzione e lo sviluppo) e provocare o favorire patologie di vario genere, quali malattie di ghiandole endocrine e dell’apparato genitourinario, disturbi cardiovascolari e immunitari, infertilità femminile e maschile e diversi tipi di tumore (cancro della prostata, cancro del pancreas, cancro della mammella, linfomi non Hodgkin…), come evidenziato da numerosi studi epidemiologici internazionali citati qui.
Le Pfas non sono biodegradabili, si depositano e rimangono nell’ambiente, anche a distanza di molti anni, si tramettono agli esseri viventi prevalentemente per via orale (attraverso acqua e cibi contaminati) e si accumulano nel sangue e negli organi interni.
La contaminazione da PFAS che interessa i comuni veneti è particolarmente grave perché si è protratta per un lungo periodo di tempo, dagli anni Settanta in poi, e ha raggiunto una notevole estensione geografica, provocando un vero e proprio disastro ambientale.
Allora cosa si può fare per prevenire o contenere i danni nelle zone inquinate? È sconsigliato bere l’acqua potabile erogata da acquedotti che attingono a falde contaminate? Esiste un limite entro il quale le concentrazioni delle PFAS in acqua non provocano danni alla salute?
I provvedimenti impiegati finora (come l’uso di filtri di carbonio attivo o la scelta discutibile di diluire le sostanze tossiche, miscelando acque inquinate con acque pure) riducono, ma non eliminano i quantitativi di PFAS presenti nell’acqua.
Proprio perché si tratta di sostanze che si sono accumulate col tempo e che si accumulano continuamente nell’ambiente e nel corpo, anche concentrazioni relativamente basse nell’acqua sono pericolose, perché alimentano un avvelenamento lento, costante e inesorabile, assieme alle altre trasmesse da altri canali; le PFAS sono anche nei cibi che mangiamo (se sono entrati in contatto con acqua contaminata) e nell’aria che respiriamo (sotto forma di pulviscolo atmosferico). Soggetti particolarmente a rischio sono i bambini, le donne in stato fertile e gli anziani affetti da patologie. Si raccomanda una particolare attenzione per le donne in stato di gravidanza: è accertato che nelle donne incinte, entrate a contatto con le PFAS, i feti sono esposti a dosi enormi di PFAS attraverso la placenta: sono predisposti a contrarre, anche a distanza di molti anni, una o più malattie causate dai distruttori endocrini.
Sono già riscontrabili danni sulla salute della popolazione?
I dati ufficiali raccolti dal Servizio epidemiologico regionale del Veneto e dal Registro dei tumori del Veneto (analizzati qui) evidenziano, soprattutto a partire dal 2000-2003, un eccesso storico di mortalità in uomini e donne residenti nei comuni dell’ovest vicentino, che ricadono sotto le ULSS 4, 5 e 6 per malattie associate ai PFAS, malattie cioè che hanno nelle PFAS la causa principale o la concausa (malattie di ghiandole endocrine, disturbi immunitari, diabete mellito, malattie cardiovascolari, varie neoplasie, malformazioni congenite e altre).
Un recente studio sulle schede Istat delle cause di morte in Veneto tra 1980 e 2009 (presentato ieri 04.05.2016 di cui qui c’è un breve report, n.d.r.) confrontando decessi tra i comuni inquinati e quelli non, riscontra negli uomini e nelle donne aumenti statisticamente significativi di decessi per diabete, malattie cerebrovascolari, infarto miocardico acuto.
Pertanto, di fronte a questi dati, si raccomanda caldamente a quanti risiedono nelle zone contaminate di non bere acqua potabile di rubinetto attinta da falde inquinate e di non consumare prodotti agricoli di terreni irrigati con l’acqua contaminata del luogo, carne di animali allevati nel territorio e neppure pesce pescato da riserve idriche dell’area interessata dalla contaminazione delle PFAS.
Vincenzo Cordiano, Presidente Isde Vicenza
dichiarazioni raccolte da Silvia Rampazzo, redazione di ecopolis
Legambiente e il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas dal dicembre  scorso hanno promosso due petizioni con raccolta firme per la sostituzione dell’approviggionamento dalle fonti non inquinate (Acquedotti liberi da Pfas e Pfoa) e per la determinazione dei limiti ministeriali sulla presenza dei Pfas nelle acque di falda (Mettiamo un limite ai limiti). Firma qui on line.
Oppure scarica i moduli ed attivati nella raccolta firme (scarica qui quello su acquedotti liberi da Pfas e scarica qui quello per introdurre dei limiti di legge).

giovedì 2 giugno 2016

Resoconti stenografici delle audizioni del sindaco del comune di Brendola, Renato Ceron, del sindaco del comune di Sovizzo, Marilisa Munari, e del sindaco del comune di Lonigo, Luca Restello e dei gestori dell'acqua potabile


Camera dei deputati

Resoconti stenografici delle audizioni

XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

Resoconto stenografico


Seduta n. 100 di Lunedì 16 maggio 2016
Bozza non corretta

INDICE
Sulla pubblicità dei lavori
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 
Comunicazioni del presidente
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 
Audizione del sindaco del comune di Brendola, Renato Ceron, del sindaco del comune di Sovizzo, Marilisa Munari, e del sindaco del comune di Lonigo, Luca Restello (Svolgimento e conclusione)
Bratti Alessandro , Presidente ... 4 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 5 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 7 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 7 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 ,
Munari Marilisa , sindaco del comune di Sovizzo ... 9 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 11 ,
Munari Marilisa , sindaco del comune di Sovizzo ... 11 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 13 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 13 ,
Puppato Laura  ... 14 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 14 ,
Munari Marilisa , sindaco del comune di Sovizzo ... 14 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 15 ,
Puppato Laura  ... 15 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 15 ,
Puppato Laura  ... 16 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 16 ,
Puppato Laura  ... 16 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 16 ,
Puppato Laura  ... 17 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 17 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 17 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 17 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 17 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 17 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 19 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 19 ,
Puppato Laura  ... 19 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 19 ,
Puppato Laura  ... 20 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 21 ,
Puppato Laura  ... 21 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 21 ,
Puppato Laura  ... 21 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 21 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 21 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 21 ,
Puppato Laura  ... 21 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 21 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 23 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 24 ,
Puppato Laura  ... 24 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 25 ,
Puppato Laura  ... 26 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 26 ,
Puppato Laura  ... 26 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 26 ,
Puppato Laura  ... 26 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 27 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 27 ,
Puppato Laura  ... 28 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 28 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 28 ,
Munari Marilisa , sindaco del comune di Sovizzo ... 29 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 29 ,
Munari Marilisa , sindaco del comune di Sovizzo ... 29 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 30 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 31 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 31 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 32 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 32 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 32 ,
Puppato Laura  ... 32 ,
Restello Luca , sindaco del comune di Lonigo ... 32 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 32 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 32 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 33 ,
Ceron Renato , sindaco del comune di Brendola ... 33 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 33 
Audizione del sindaco del comune di Sarego, Roberto Castiglion (Svolgimento e conclusione)
Bratti Alessandro , Presidente ... 33 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 34 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 35 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 35 ,
Puppato Laura  ... 36 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 36 ,
Puppato Laura  ... 39 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 39 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 41 ,
Puppato Laura  ... 41 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 41 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 41 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 42 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 42 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 42 ,
Cominelli Miriam (PD)  ... 43 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 43 ,
Cominelli Miriam (PD)  ... 43 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 43 ,
Cominelli Miriam (PD)  ... 43 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 43 ,
Castiglion Roberto , sindaco del comune di Sarego ... 43 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 43 
Audizione del direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo, Alberto Piccoli (Svolgimento e conclusione)
Bratti Alessandro , Presidente ... 43 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 44 ,
Puppato Laura  ... 47 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 47 ,
Puppato Laura  ... 47 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 47 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 49 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 49 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 54 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 54 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 54 ,
Cominelli Miriam (PD)  ... 54 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 54 ,
Puppato Laura  ... 54 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 55 ,
Puppato Laura  ... 55 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 55 ,
Puppato Laura  ... 55 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 56 ,
Puppato Laura  ... 56 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 56 ,
Puppato Laura  ... 56 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 56 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 57 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 58 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 59 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 59 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 59 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 59 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 59 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 59 ,
Piccoli Alberto , direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo ... 59 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 59 
Audizione del sindaco del comune di Trissino, Davide Faccio (Svolgimento e conclusione)
Bratti Alessandro , Presidente ... 60 ,
Faccio Davide , sindaco del comune di Trissino ... 61 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 61 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 62 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 62 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 62 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 62 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 63 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 63 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 63 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 63 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 63 ,
Puppato Laura  ... 64 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 65 ,
Puppato Laura  ... 65 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 65 ,
Faccio Davide , sindaco del comune di Trissino ... 66 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 69 ,
Faccio Davide , sindaco del comune di Trissino ... 69 ,
Ramina Gianpietro , assessore all'ambiente del comune di Trissino ... 70 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 71 
Audizione del direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi, Monica Manto, del direttore generale dell'azienda Acque Vicentine, Fabio Trolese, e del direttore generale dell'azienda Acque Veronesi, Francesco Berton (Svolgimento e conclusione)
Bratti Alessandro , Presidente ... 71 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 72 ,
Puppato Laura  ... 73 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 73 ,
Puppato Laura  ... 74 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 74 ,
Puppato Laura  ... 74 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 74 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 74 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 74 ,
Puppato Laura  ... 74 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 75 ,
Puppato Laura  ... 75 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 75 ,
Puppato Laura  ... 75 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 75 ,
Trolese Fabio , direttore generale dell'azienda Acque Vicentine ... 75 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 76 ,
Trolese Fabio , direttore generale dell'azienda Acque Vicentine ... 76 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 77 ,
Trolese Fabio , direttore generale dell'azienda Acque Vicentine ... 77 ,
Manto Monica , direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi ... 77 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 77 ,
Puppato Laura  ... 80 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 80 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 81 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 81 ,
Puppato Laura  ... 82 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 82 ,
Puppato Laura  ... 82 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 82 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 82 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 82 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 82 ,
Puppato Laura  ... 83 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 83 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 83 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 84 ,
Puppato Laura  ... 85 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 85 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 85 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 85 ,
Trolese Fabio , direttore generale dell'azienda Acque Vicentine ... 86 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 86 ,
Trolese Fabio , direttore generale dell'azienda Acque Vicentine ... 86 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 86 ,
Carmagnani Massimo , responsabile per la ricerca e lo sviluppo dell'azienda Acque Veronesi ... 86 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 88 ,
Carmagnani Massimo , responsabile per la ricerca e lo sviluppo dell'azienda Acque Veronesi ... 88 ,
Berton Francesco , direttore generale dell'azienda Acque Veronesi ... 88 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 88 ,
Puppato Laura  ... 88 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 88 
Audizione del presidente del consorzio Arica, Antonio Mondardo (Svolgimento e conclusione)
Bratti Alessandro , Presidente ... 88 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 89 ,
Puppato Laura  ... 90 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 90 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 92 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 92 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 92 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 92 ,
Puppato Laura  ... 94 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 94 ,
Puppato Laura  ... 94 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 94 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 95 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 95 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 95 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 95 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 95 ,
Mondardo Antonio , presidente del consorzio Arica ... 95 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 96
Testo del resoconto stenografico
Pag. 3
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ALESSANDRO BRATTI
  La seduta comincia alle 15.45.
Sulla pubblicità dei lavori.
  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Comunicazioni del presidente
  PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione svoltasi lo scorso 12 maggio, ha stabilito che la missione di studio in Belgio e in Olanda, già prevista dal 27 giugno al 1° luglio prossimi, abbia luogo dal 25 al 30 settembre 2016, e che la missione in Basilicata e in Calabria, già prevista dal 6 all'8 luglio prossimi, abbia luogo dal 4 al 6 luglio 2016. È stato inoltre deciso che una delegazione della Commissione svolga una missione in Veneto il 20 e il 21 giugno prossimi, durante la quale sarà organizzato un convegno a Venezia per presentare e dibattere i contenuti della relazione sullo stato di avanzamento dei lavori di bonifica nel sito di interesse nazionale di Venezia – Porto Marghera (Doc. XXIII, n. 9). Comunico, infine, che nella medesima riunione è stato stabilito che, dal 20 al 23 settembre 2016, una delegazione della Commissione svolga una missione in Emilia Romagna.
Audizione del sindaco del comune di Brendola, Renato Ceron, del sindaco del comune di Sovizzo, Marilisa Munari, e del sindaco del comune di Lonigo, Luca Restello.
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  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sindaco del comune di Brendola, Renato Ceron, del sindaco del comune di Sovizzo, Marilisa Munari, e del sindaco del comune di Lonigo, Luca Restello, che ringrazio per la presenza. Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che, come Commissione, stiamo svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente con riferimento all'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS).
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  In premessa, vi segnalo che conosciamo il tema poiché già durante la nostra precedente visita in loco, non troppo tempo fa, anche se non esattamente nei vostri comuni, ci eravamo recati presso le procure di Verona, Padova e Venezia, dove avevamo incontrato molti soggetti istituzionali dell'area, a parte i singoli sindaci. Il tema, inoltre, ci era già stato fatto presente sia dall'ARPA che dalla prefettura, però, viste le connotazioni assunte nell'ultimo periodo, abbiamo deciso, in chiusura della relazione territoriale sul Veneto, di fare un ulteriore approfondimento. In tal senso, abbiamo già audito la regione Veneto, il capo della procura di Vicenza e, domani, avremo l'Istituto Pag. 5superiore di sanità, mentre giovedì prossimo sarà la volta del Ministero dell'ambiente, in modo da chiudere il cerchio degli attori istituzionali più importanti.
  È stata richiesta, quindi, una serie di audizioni con i sindaci più interessati dall'argomento; dopo di voi sentiremo i gestori delle aziende più interessate, in modo da avere un quadro completo. Vi chiederemmo, pertanto, di illustrarci le situazioni che considerate più di interesse per la Commissione, tenendo presente che conosciamo già la partita e che nelle relazioni inviateci c'è la storia dei perfluoroalchili, quindi non partiamo da zero.
  Visto che siete i sindaci del posto, ci interessa capire quali questioni riteniate più importanti e quelle, semmai, su cui la Commissione potrebbe dare un contributo rispetto alle proprie competenze; in tal senso, tenete presente che noi ci mettiamo sempre nell'ottica non solo di denunciare un problema ma, come parlamentari, anche di dare una mano per risolverlo. Le questioni, quindi, sono due: ci sono, da un lato, delle responsabilità da individuare, dall'altro, un problema cogente da affrontare. Dopo una vostra breve illustrazione, i colleghi vi porranno delle domande.
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Se permette, presidente, darei una veloce scorsa introduttiva per poi focalizzarmi sui due punti principali. Egregi onorevoli, membri della Commissione, grazie dell'invito. Mi chiamo Renato Ceron e sono il sindaco di Brendola, uno dei comuni maggiormente coinvolti dall'inquinamento delle acque.
  Il Veneto è una regione che ha sempre dato un contributo straordinario all'Italia, una regione generosa, in prima fila tanto nell'economia che nella solidarietà: basterebbe ricordare i miliardi di residuo fiscale che vengono versati allo Stato centrale o il contributo al PIL nazionale per comprendere la definizione Pag. 6di «locomotiva del Paese». Un territorio, il nostro, che per indole dei suoi abitanti è poco incline a chiedere, abituato, invece, tutte le volte che può, a fare da sé.
  Da parecchi anni, complici la congiuntura economica e la crisi internazionale, le manovre di stabilità hanno ridotto notevolmente i trasferimenti da parte dello Stato agli enti locali. Il Veneto risulta una delle regioni con la quota pro capite più bassa di trasferimenti da parte dello Stato; gli enti locali, quasi sempre virtuosi, hanno raschiato il fondo del barile per rispettare il patto di stabilità, ma ormai non c'è più neppure il barile.
  Recentemente il Governo ha mostrato qualche apertura positiva sui vincoli del patto di stabilità, finalizzata a determinati progetti particolari. Rimane il fatto che i nostri enti locali hanno risorse limitate e a malapena gestiscono le questioni ordinarie; non sono quindi certo in grado di affrontare da soli emergenze straordinarie come quella sorta a causa dell'inquinamento delle acque da PFAS e il relativo approvvigionamento idrico, sia per uso umano che irriguo.
  Sulle cause che hanno provocato l'inquinamento delle falde farà luce la magistratura. Se emergerà qualche profilo di responsabilità, chiediamo che chi ha sbagliato o messo in atto comportamenti illeciti paghi: non si possono massimizzare i profitti e socializzare i costi, per non dire di peggio.
  La magistratura avrà tutto l'appoggio di noi sindaci, come sempre in prima linea nell'affrontare i problemi che riguardano i cittadini, sindaci che talvolta devono districarsi nell'indeterminatezza o nell'ambiguità di norme che sono competenza di organi di ordine superiore. La salute, però, non può sottostare ai ritmi della burocrazia, né a valutazioni meramente accademiche. Il principio di prudenza, in questo ambito, è sovrano.
  Nell'estate del 2013, appena emersa la presenza di PFAS nell'acqua distribuita dagli acquedotti, subito ci siamo attivati, Pag. 7installando, in collaborazione con le società che gestiscono la rete idrica, filtri a carboni attivi in grado di depurare l'acqua. A Brendola c'è stato il primo impianto.
  In maniera tempestiva, quindi, l'acqua che entrava nelle case dei nostri concittadini è diventata sicura. Abbiamo poi cercato di allacciare la rete comunale con notevoli sforzi economici.
  ALBERTO ZOLEZZI. Scusi, in che anno avete posizionato i primi filtri?
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Il 24 agosto 2013, il comune di Brendola, per primo, aveva l'acquedotto in sicurezza. Abbiamo poi cercato di allacciare alla rete comunale, con notevoli sforzi economici, quelle poche famiglie che, per varie ragioni, si servivano ancora di pozzi privati; abbiamo ordinato le analisi dei pozzi privati a tutti gli utenti non collegati; è stato avviato un monitoraggio tramite analisi del sangue, che ha confermato la presenza di valori elevati di tali sostanze nei soggetti residenti nelle aree coinvolte. Potrei dilungarmi nel riportare un'altra serie di iniziative e solleciti, intrapresi in stretto contatto con l'azienda Sanitaria ULSS5 in particolare e la regione Veneto, a tutela della salute pubblica. Il punto fondamentale, però, è questo: finora abbiamo tamponato una situazione grave, facendo tutto il possibile in un quadro normativo non sempre chiaro, ma ora servono azioni che risolvano in modo definitivo il problema.
  Per quanto concerne gli acquedotti, occorre emungere l'acqua da punti di prelievo diversi, nei quali le analisi già attestino l'assenza di PFAS. Si tratta, in altri termini, di costruire nuove linee di alimentazione delle reti idriche, opere per le quali servono soldi che non abbiamo.
  Per quanto riguarda l'agricoltura e l'uso irriguo dell'acqua, una soluzione ideata è quella di prolungare fino ai nostri Pag. 8territori il canale artificiale che attinge acqua dal fiume Adige e già irriga zone a noi limitrofe. Lasciando agli organi competenti ulteriori proposte tecniche, rimane il fatto che per la soluzione del problema, sia in merito alla tutela della salute e al monitoraggio delle persone esposte per tanti anni, sia per la protezione delle produzioni agrarie e zootecniche, rispetto alle quali il nostro territorio è ricco di eccellenze, chiediamo un contributo straordinario da parte dello Stato.
  Occorre, poi, fare in fretta e bene perché la salute pubblica e le produzioni che richiedono qualità dell'acqua sono due beni non negoziabili, né in termini di tempi di attuazione delle opere risolutive, né in termini di costi. La salute pubblica è un compito primario, un valore incommensurabile, che implica un'etica della responsabilità che noi sindaci esercitiamo ogni giorno. Neppure la tutela del settore primario e dell'ambiente può attendere perché siamo quello che mangiamo, per non dire delle ricadute economiche in termini di immagine.
  Sull'agricoltura e sul cibo, l'Italia in questi anni, anche grazie all'Expo, sta investendo molto e il Veneto gioca in questo settore un ruolo di primo piano. Chiediamo che lo Stato cammini al nostro fianco senza indugi. Nei nostri territori l'utile economico è sempre stato un utile condiviso con tutta l'Italia; ora che alcune zone del Veneto si trovano a dovere affrontare una grave emergenza, ci attendiamo quella stessa sensibilità, solidarietà e disponibilità che hanno sempre caratterizzato il nostro agire quando ad avere bisogno erano gli altri.
  Siamo qui animati da uno spirito di collaborazione, cercando sinergie e risposte condivise, per noi oggi e per chi verrà dopo di noi: i nostri figli. Tornando domani dai nostri concittadini, saremmo felici di poter dire che lo Stato farà la sua parte. Vi invierò domani stesso il mero elenco degli interventi fatti affinché possiate puntualmente verificare il tutto. Pag. 9
   Chiediamo, alla fine, emungimento o acqua da fonte sicura, chiediamo i fondi che servono, come dichiarato dal presidente della regione Veneto, a fronte di una progettazione puntuale e rigorosa e la conseguente realizzazione efficiente. Vi ringrazio.
  PRESIDENTE. Grazie a lei. Direi di sentire tutti e tre i sindaci e porre dopo le domande.
  MARILISA MUNARI, sindaco del comune di Sovizzo. Sono Marilisa Munari, sindaco del comune di Sovizzo. Il mio intervento è complementare a quello del collega Ceron in quanto la nostra storia come comune inquinato parte da lontano, precisamente dal settembre del 1977, quando c'è stato un caso di inquinamento dell'acqua potabile proveniente dall'azienda Rimar, Ricerca Marzotto, che era insediata esattamente nello stesso stabilimento dove ora è la Miteni.
  Questo stabilimento ha provocato un inquinamento di prodotti aromatici e alogeni che ha comportato, per i comuni di Sovizzo e Monteviale Creazzo, una serie di conseguenze gravissime. All'epoca, per molto tempo i cittadini sono stati serviti dalle autobotti; è stato sospeso l'utilizzo dell'acquedotto anche per quanto riguardava l'abbeveraggio degli animali (il mio è un comune a vocazione agricola, così come i comuni dei sindaci accanto a me) e l'irrigazione dei campi.
  Vi è stata, poi, una cordata dei comuni (ho ancora il documento dell'epoca del sindaco, ingegner Fongaro) che hanno avanzato una richiesta di finanziamento per realizzare un acquedotto. Questo acquedotto è stato realizzato; il costo è stato al 50 per cento a carico dello Stato, poi a carico della provincia e, il rimanente, per un ammontare di 900 milioni, è stato suddiviso tra i vari comuni. Questo è il motivo per cui ora, 40 anni dopo, il comune di Sovizzo si ritrova a vivere la stessa esperienza ma, avendo già dato, è in una situazione migliore Pag. 10rispetto ai comuni di Brendola, di Sarego e di Lonigo, perché l'acquedotto che utilizza non proviene dalla medesima fonte di questi comuni, bensì è gestito da Acque Vicentine e ha una provenienza di altro genere.
  Questo è il motivo per cui i tre sindaci della zona rossa, Sovizzo, Creazzo e Altavilla, che peraltro sono uniti in un'unione detta Terre del Retrone (Retrone è il fiume che dai dati ARPAV ci risulta tra i più colpiti), sono meno soggetti alle gravi conseguenze nell'acqua potabile, ma hanno le medesime conseguenze per quanto concerne sia l'acqua di superficie che l'acqua in falda. Anche i nostri cittadini sono stati monitorati.
  Facendo una veloce cronistoria, anche noi abbiamo avuto la stessa informazione nel 2013 ma, fin da subito, è stato evidente che la nostra realtà era diversa proprio perché l'acqua potabile era tale; pertanto ci siamo preoccupati di emanare una serie di ordinanze, l'una dell'8 agosto del 2013, l'altra del 30 giugno 2014, la terza del 22 aprile 2016, con le quali all'inizio abbiamo vietato di attingere l'acqua dai pozzi privati per scopi potabili e per la produzione alimentare; successivamente abbiamo ordinato a tutti i cittadini e a tutte le aziende che utilizzavano pozzi privati di comunicare l'esistenza del pozzo (proprio perché la mappatura non sempre è completa), il tipo di utilizzo e i dati del medesimo, sottoponendo l'acqua attinta a campionamento e analisi chimica.
  Il mese scorso abbiamo imposto a tutti i proprietari di pozzi, che questi fossero utilizzati per uso potabile o per produzione alimentare, di effettuare delle analisi, poi da ripetersi. L'altra azione è stata quella del biomonitoraggio, per cui, anche secondo le parole della dottoressa Musumeci, il 20 aprile di quest'anno, è stata evidente la possibilità di evincere una situazione diversa per quanto riguarda la presenza di PFAS nel siero dei cittadini tra i tre comuni della ULSS 6 serviti da Acque Pag. 11Vicentine (quelli, cioè, di cui vi dicevo prima, delle Terre del Retrone) e i quattro comuni della zona rossa nella ULSS 5, i cui due sindaci sono seduti alla mia destra. Questo, tuttavia, ha evidenziato una presenza superiore di queste sostanze nel siero e la cosa preoccupa, anche alla luce degli studi ultimati.
  ALBERTO ZOLEZZI. Scusi, in quale gruppo di comuni c'è una presenza superiore?
  MARILISA MUNARI, sindaco del comune di Sovizzo. Sarego, Brendola, Montecchio e Lonigo. Questo ci preoccupa perché gli studi pubblicati il 5 maggio di quest'anno dall'ENEA evidenziano che esiste una evidente e preoccupante conseguenza sulla salute per quanto riguarda la presenza di queste sostanze; questo è l'esito degli studi già effettuati in Germania e nell'Ohio, come evidenziato dalla dottoressa Musmeci, per casi simili, così come è accaduto, per esempio, in Ohio per la Dupont, che poi si è fatta carico di finanziare una ricerca per evidenziare le conseguenze sull'uomo. La seconda parte dello studio dell'ENEA evidenzia che la situazione per il Veneto, in particolare per le tre province di Vicenza, Padova e Verona, che è stata monitorata dal 1989 fino al 2011, evidenzia un ricorrere di patologie in un ambito presumibilmente riconducibile alle conseguenze della presenza di queste sostanze.
  Così come in letteratura medica ciò si può evincere anche nelle statistiche, allo stesso modo da questo studio si può evincere la situazione attuale nelle nostre province, in particolare nei nostri comuni. Fermo restando che il mio comune – avendo già dato – è tutelato dal punto di vista dell'acquedotto, comunque ci preoccupa tutto ciò che non c'è a proposito della normativa. Il comune di Sovizzo, nel novembre del 2015, ha quindi sottoscritto con i comuni di Vicenza, Altavilla, Creazzo Monteviale e Sossano due lettere, una indirizzata al Ministero Pag. 12dell'ambiente, l'altra all'ARPAV; al Ministero dell'ambiente abbiamo chiesto di adottare con urgenza provvedimenti per incidere sulla rimozione della fonte contaminante, ad ARPAV la verifica delle matrici ambientali, la verifica della concentrazione nei terreni, nelle acque sotterranee e nelle acque superficiali, il perimetro complessivo del danno e, logicamente, l'individuazione del soggetto chimico responsabile.
  Il comune ha anche aderito a due petizioni promosse dal coordinamento acqua libera dai PFAS: la prima, «Mettiamo un limite ai limiti» e, la seconda, «Acquedotti liberi da PFAS e PFOA». Accanto a questo, abbiamo inviato dei solleciti e sottoscritto le richieste della regione, così come i colleghi sindaci, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministero della salute e al Ministero dell'ambiente. Detto questo, le criticità sono la mancanza di un limite di legge sulla concentrazione minima delle sostanze in esame nell'acqua destinata al consumo umano; esistono dei parametri di qualità ma è necessario avere la normativa; la mancanza di un limite sulla possibilità di utilizzare l'acqua contaminata per uso irriguo, le spese che sono riversate nelle utenze per l'emergenza – questo soprattutto per quanto riguarda la situazione dei colleghi – e l'installazione dei filtri a carboni attivi, nonché le spese che i cittadini – anche nel mio comune – stanno sostenendo per monitorare i pozzi.
  La terza criticità è la necessità di realizzare o potenziare nuovi acquedotti che attingano ad acqua di falda non inquinata: quello che abbiamo fatto noi 40 anni fa e che il sindaco di Brendola ha appena richiesto. Sono necessari indicazioni certe per i cittadini che sono stati esposti alla contaminazione, sia sugli effetti sulla salute che sulle possibili cure; bisogna garantire il monitoraggio, che deve essere retroattivo e, nel futuro, l'individuazione dei limiti massimi di presenza dei perfluoroalchili Pag. 13 nell'acqua di falda, da fissare con apposita normativa, così come abbiamo chiesto nella petizione; infine, serve l'individuazione di un centro unico di riferimento sanitario a cui tutti i cittadini possano rivolgersi per chiarimenti e informazioni. Questa sera avevo già convocato un'assemblea con i cittadini per spiegare la situazione e dar conto dello stato di qualità dell'acqua. Noi, ovviamente, diamo sempre una comunicazione in positivo, non allarmistica, oggettiva, però è evidente che il cittadino si preoccupa. Grazie.
  PRESIDENTE. Grazie. Completa il quadro il sindaco del comune di Lonigo, Luca Restello.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Non ripeto quanto hanno già detto i colleghi che mi hanno preceduto, ma integro velocemente. Io sono sindaco del comune dove le falde sono state inquinate: Almisano è il paese in cui sono nato e vivo. Avendo 50 anni, ho bevuto questa acqua per 50 anni, quindi, certamente, sono una persona molto contaminata. Tuttavia, la cosa che mi rammarica di più – faccio un discorso da cittadino, più che da sindaco – è che durante questo tempo ho anche avvelenato i miei figli perché, credendo alle parole dei sindaci, ho sempre fatto loro bere acqua dal rubinetto; oggi, invece, scopriamo che quest'acqua non era idonea alla nostra salute. In tal senso, sono quindi particolarmente adirato. Qualcuno mi ha accusato di essere un sindaco allarmista solo perché ho cercato di ottenere risposte, che a tutt'oggi non ho ancora avuto. È però opportuno chiarire che tutti i lavori eseguiti nelle reti per bonificare l'acqua potabile erogata ai nostri cittadini, sono stati fatti con soldi dei cittadini. Qualcuno sostiene che si tratti comunque e sempre di tasse dei cittadini, ma le cose non stanno proprio così perché i soldi che vengono pagati attraverso le tasse e che arrivano qui a Roma, sono soldi che da Roma Pag. 14vengono distribuiti in tutta la nazione: il fatto è però che vengono rincarate direttamente le bollette. Io sono sindaco dal 15 giugno del 2015 e, fra l'altro, ricordo che ad agosto del 2015...
  LAURA PUPPATO. Scusi se la interrompo: voi tre siete sindaci da quando?
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Dal 2008 e questo è il secondo mandato.
  MARILISA MUNARI, sindaco del comune di Sovizzo. Dal 2009, anche io al secondo mandato.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Io invece sono al primo mandato e sono sindaco da poco più di otto mesi, dal giugno del 2015. Ho immediatamente richiesto – e l'ATO di riferimento ha accolto le mie richieste – di portare l'acqua a quelle famiglie che non erano collegate direttamente alla rete pubblica, però non so se avete idea di cosa vuol dire andare a prendere l'acqua ogni giorno per fare la pasta, per dare da bere ai figli: io l'ho provato per sei mesi a casa mia e vi posso garantire che è una cosa inaccettabile per un Paese come il nostro.
  Qui a Roma, però, avete fatto di peggio, perché ad agosto dell'anno scorso avete aumentato i limiti di tollerabilità di queste sostanze, quindi, d'emblée, i 104 pozzi...
  PRESIDENTE. Noi non abbiamo fatto nulla!
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Beh, il Ministero della sanità o l'Istituto superiore di sanità...
  PRESIDENTE. Noi non siamo né il Ministero della sanità, né l'Istituto superiore di sanità!
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  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Mi scusi, ho sbagliato, ma sempre a Roma siamo.
  PRESIDENTE. Roma è fatta di tante cose.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Voi adesso avete la possibilità di indagare e di controllare...
  PRESIDENTE. No, mi permetta: noi siamo parlamentari e se abbiamo approvato una legge di un certo tipo, è giusto sottolinearlo, però non mi sembra che su questo tema abbiamo mai legiferato.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Questo è il peccato che le dico! Ad agosto dell'anno scorso sono stati mutati questi valori e, d'emblée, 104 pozzi che risiedono sul mio territorio sono passati automaticamente come pozzi idonei all'uso dell'acqua potabile per le famiglie di riferimento. Capite bene che è inaccettabile che un colpo di matita cambi la destinazione d'uso di un'acqua. Pertanto noi sindaci ci siamo permessi...
  LAURA PUPPATO. Lei ci dovrebbe dire i valori.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Sono i valori che sono stati comunicati ad agosto 2015 dall'Istituto superiore di sanità, valori che hanno aumentato la quantità di PFAS come somma totale, quindi, alla fine, è possibile rendere utilizzabili per uso umano acque che prima non lo erano (nella mia relazione ho inserito anche i documenti). Cosa abbiamo fatto, quindi, come sindaci? Abbiamo ritenuto che tutte queste famiglie dovessero essere allacciate alla rete pubblica dell'acqua e, proprio l'altro giorno, la giunta esecutiva ha approvato 1.400.000 euro di lavori pubblici per portare alle acque sparse Pag. 16di Brendola e di Lonigo l'acqua potabile che viene dalle reti pubbliche, ovviamente a tariffa; quindi tutto questo andrà a tariffa, ovviamente pagato da tutti i comuni, però capite che la cosa dà un po'di fastidio. Le cosiddette «casette dell'acqua del sindaco», che nella mia città sono 4, sono state eseguite a Brendola 4 mesi prima delle mie: realizzate a dicembre del 2015, portano intanto l'acqua a queste famiglie che hanno bisogno di utilizzare l'acqua pubblica. Che cosa ho chiesto alla sanità pubblica, senza ricevere risposta? Quando il 25 novembre 2015 mi è arrivata la perizia, o meglio, il lavoro realizzato dai dottori Edoardo Bai, Marina Mastrantonio, Vincenzo Cordiano e Paolo Crosignani, l'ho girato immediatamente a una serie di autorità, che vi elenco ma sono anche nella documentazione trasmessa. Qual è stata la risposta? Nessuna. Le autorità a cui ho girato il documento sono Ministero della salute, ULSS 5, ARPA Vicenza, regione Veneto, dipartimento socio-sanitario e dipartimento ambiente, consiglio di bacino Valle del Chiampo, Acque del Chiampo: nulla!
  LAURA PUPPATO. Mi scusi, dovrebbe essere più preciso perché lei dà per scontato cose che probabilmente non lo sono.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Trova tutto nella mia relazione. Vi ho fatto arrivare via PEC sia la mia relazione, sia...
  LAURA PUPPATO. Non l'abbiamo ancora vista ed ecco perché per noi quanto sta dicendo non è del tutto comprensibile.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Lo studio epidemiologico dei ricercatori, che parlava di un'incidenza tumorale maggiore nelle nostre aree, comprovata da un'analisi di dati trovati su internet...
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  LAURA PUPPATO. Questa è la famosa analisi ENEA?
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. No.
  PRESIDENTE. Chiedo scusa, il materiale che ci è arrivato in questi giorni fa riferimento a un'indagine condotta da un gruppo di medici dell'ISDE, che avevano messo in evidenza una serie di problematiche collegate all'utilizzo di questi prodotti; nella documentazione – mi corregga se sbaglio – il signor sindaco riporta un suo scambio di mail con alcuni di questi medici. Credo che poi il tutto si sia concretizzato in un convegno: ci conferma questo?
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Sì, in un convegno come quello fatto sabato scorso con Legambiente nella mia città.
  PRESIDENTE. Se ci vuole dire qualcosa in merito ai risultati di questo convegno, la ascoltiamo.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Dallo studio condotto da questi medici emerge che nella mia città, che fra le quattro analizzate, vi è una presenza di PFAS più alta (siamo a 2.403 nanogrammi litro) rispetto ad altri paesi limitrofi o non interessati da questo inquinamento, con valori certamente più elevati dal punto di vista dell'inquinamento da queste sostanze, di infarti del miocardio, linfomi Non Hodgkin, Alzheimer, malattie dell'apparato genito-urinario, di Parkinson, di tumori a fegato, seno, ovaie, testicoli e rene, con altre malattie connesse: vi è, insomma, un'incidenza maggiore. Appena letto tutto ciò, il giorno dopo, essendo preoccupato, ho mandato la documentazione a tutte le autorità che vi ho detto ma non ho avuto risposta. Per questo l'ho rimandata successivamente, chiedendo all'ULSS 5 di realizzare un campionamento Pag. 18 statistico di dati – da parte dell'ULSS – che poteva essere eseguito da dottori o da esperti locali e che, come comune, avrei finanziato (il costo è veramente ridicolo, tra i 15.000 e i 20.000 euro), poiché come sindaco devo dare risposta ai miei cittadini che mi chiedono quali siano le conseguenze di tutto ciò.
  Se non indaghiamo queste conseguenze, non daremo mai una risposta compiuta né ai cittadini, né a noi sindaci, né a voi parlamentari; mi pare, però che tali risposte non si vogliano trovare perché, se è così esigua la somma da spendere e, come dicono questi dottori, è così facile ottenere una risposta coerente, oggettiva, anche in breve tempo, non capisco perché si perda tempo. Secondo me di tempo se ne è perso anche troppo; sicuramente è stato fatto molto, però, dal 2011 siamo arrivati al 2016 e io ho ancora un acquedotto che deve essere filtrato in continuazione; ovviamente, quando all'inizio i filtri sono nuovi, sono perfettamente funzionanti; poi quando si sporcano, rilasciano essi stessi PFAS. Certo, non viene superata la soglia dei 500 nanogrammi litro, ma è evidente che prima di essere cambiati questi filtri arrivano a valori prossimi a 400, 450 e 495, con costi che ricadono sulla collettività.
  Voi non lo sapete ma, nel mio paese, se si faceva un buco di venti centimetri in terra, dopo un quarto d'ora si riempiva d'acqua, quindi abbiamo perso una risorsa idrica inimmaginabile e questo non è tollerabile; purtroppo, però, dobbiamo essere coerenti e trovare i denari sufficienti per approvvigionare i nostri cittadini da confinanti comuni che hanno ancora tale risorsa incontaminata, perché già da loro sperimentato. Purtroppo, però, ci vogliono denari: si parla di 30-40 milioni di euro. Un'altra cosa di cui sono molto preoccupato è il comparto agricolo, un problema enorme perché, anche in questo caso, ci si vuole nascondere dietro un dito. La Coldiretti continua a Pag. 19ribadire – e io lo capisco – che finché non ci sono dati chiari e oggettivi, non possiamo mandare in malora un intero comparto, però, io vi chiedo: cosa dovremo aspettare per sapere cosa fare?
  La risposta, da primo cittadino, praticamente, che ha i suoi cittadini di fronte, è che dobbiamo portare l'acqua del LEB, una meravigliosa opera idraulica che prende l'acqua dall'Adige e la porta fino a Lonigo, arrivando ad Alonte con una condotta da 70 centimetri di diametro ad alta pressione, 10 bar, il che vuol dire che ha la spinta per andare contro pendenza. Dobbiamo potenziare questa rete affinché l'acqua venga da Lonigo fino a Brendola, salendo fino ad Almisano. Ho stanziato delle somme, che mi ha fornito il consorzio di bonifica, il quale mi ha mostrato un progetto preliminare con uno studio economico avanzato per portare l'acqua anche in collina, un progetto che vale 38 milioni di euro. Purtroppo, servono un sacco di soldi e la questione non è più rimandabile.
  PRESIDENTE. Scusi, sindaco, lei mi sta dicendo che un pezzo del vostro acquedotto è invece tutelato, nel senso che proviene da altra fonte?
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. No, non è assolutamente così: le mie fonti sono tutte contaminate; attualmente, da marzo 2014, abbiamo messo in funzione la depurazione a carboni attivi.
  LAURA PUPPATO. Quindi, ciò a cui faceva riferimento ora, la deviazione, che cosa è?
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Quella è per l'acqua a uso irriguo e per abbeverare gli animali, un altro grosso problema. L'Istituto superiore della sanità ha emanato, ad aprile, un provvedimento dicendo che, compatibilmente con Pag. 20le risorse e con le capacità tecniche, bisogna far arrivare l'acqua allo scarico allo stesso limite dell'acqua potabile, ma tendente a zero. Concettualmente, ciò non fa una piega ma è irrealizzabile, se non attraverso lo scaricamento del barile in mano agli agricoltori e agli allevatori. Una cosa del genere, infatti, è condivisibile dal punto di vista teorico ma praticamente impossibile. A Sarego c'è una cartiera che ha dei pozzi interni enormi, che usa l'acqua per motivi legati alla produzione della carta e che, ancora oggi, scarica sulle rogge superficiali quell'acqua inquinata da PFAS (perché la preleva dalla fonte che è inquinata). È indubbio che dobbiamo tendere a zero anche con le acque di scarico, però dovremmo stare attenti al fatto che le tempistiche, le modalità tecniche e le capacità economiche non permettono tale risultato a breve. Oggi, sicuramente, questo è possibile attraverso il LEB ma, anche qui, bisogna fare attenzione: il punto di approvvigionamento del LEB dall'Adige sta a monte e a valle di due impianti idroelettrici, uno di proprietà dell'ENEL, l'altro della GSM; proprio in questi giorni c'è la trattativa per il rinnovo della pesca dell'acqua dell'Adige da parte del LEB.
  A questo proposito voi potete dare assolutamente una mano affinché, nei mesi caldi, in cui l'acqua è utilizzabile ai fini irrigui, non ci siano limitazioni per l'utilizzo di queste acque e quindi sia preferito l'utilizzo per il settore primario rispetto alla produzione elettrica: è giusto che sia fatta anche quella, ma deve essere data priorità a questo.
  LAURA PUPPATO. Mi scusi, devo interromperla di nuovo perché, per quel poco che possiamo fare subito, è importante questo passaggio. Lei diceva prima che c'è il tema relativo all'energia elettrica, che nasce dall'idroelettrico, con la possibilità attraverso questo canale di 70 centimetri...
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  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Nell'ultima parte, perché è un canale enorme: è un fiume e, a Cologna Veneta, parte questa piccola conduttura.
  LAURA PUPPATO. Immagino che il fattore decisorio sia in capo al consorzio.
  PRESIDENTE. All'autorità di bacino.
  LAURA PUPPATO. Autorità di bacino dell'Adige, che è a livello nazionale.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. C'è una concessione di presa d'acqua che scade quest'anno e che deve essere rinnovata. Per questo dico che dobbiamo spingere...
  PRESIDENTE. Dobbiamo lavorare sulla concessione.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Esatto, lavorare sulla concessione affinché non si abbiano limitazioni nel mese estivo, altrimenti non si può prendere acqua più del necessario; questo, peraltro, deve essere visto anche da un altro punto di vista.
  LAURA PUPPATO. Secondo me è anche il tema dell'Adige e di tutte le autorità di bacino e dei consorzi, un tema che è stato modificato con legge recente, quindi vorrei capire attualmente come sia la situazione dal punto di vista dell'authority.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Mi hanno detto – vi riporto le parole che mi hanno detto – che stanno contrattando, chiedendo che la politica li aiuti a ottenere il massimo risultato per poter portare più volumi d'acqua in questo grande canale, che parte dall'Adige, va fino a Cologna Pag. 22Veneta, per poi arrivare, mediante un sistema di canalizzazione idraulica, fino al mare, così servendo tutto il Polesine.
  Mi permetto di dire un'ultima cosa: nel Veneto abbiamo la prova di cosa si può fare; con l'aiuto economico che è venuto dall'Europa, con l'AVEPA, abbiamo cambiato nel Veneto la produzione vitivinicola da una produzione con le viti a tendone, a una con le viti a spalliera. Tutti adesso stanno utilizzando il sistema a goccia per andare ad abbeverare, quindi, da un punto di vista etico, di efficienza e di risparmio di risorse idriche, con un accorto utilizzo di questa tecnica possiamo risparmiare quantità enormi d'acqua. Possiamo farlo anche ad uso irriguo normale perché ci sono già le modalità per passare a goccia anche nelle coltivazioni di mais o nelle altre produzioni. Tutto ciò comporta un'ottica ampia di studio, di pressione e di aiuto ai settori primari.
  Con un po' di disponibilità economica, gli agricoltori hanno fatto miracoli: l'aiuto dell'AVEPA, su 24.000 euro a ettaro, è di 7-8.000 euro; il resto ce lo mettono gli agricoltori, quindi, è ben poca cosa l'aiuto chiesto all'Europa ma bisogna incentivare questo cambio di mentalità. È ovvio che parliamo di anni, non di oggi e subito, però si può fare. Non dobbiamo chiudere gli occhi. Io abito ad Almisano, nella Roggia Rio Acquetta passa l'acqua che esce dal grande sistema idraulico del Guà e, da quando ero piccolo, l'ho visto rosso, giallo, verde, blu, perché cambiava colore in base ai coloranti che usavano le concerie; tappandoci gli occhi, le orecchie e il naso non risolviamo i problemi, quindi è opera vostra fare questa legge, che tutti chiedono; ho raccolto con i comitati circa 10.000 firme, che arriveranno a Roma al più presto possibile; tramite alcuni sindaci sensibili ne abbiamo raccolte ancora e abbiamo fatto il No PFAS day, il 10 maggio scorso, per sensibilizzare la cittadinanza, che è molto preoccupata perché non crede più a quanto Pag. 23diciamo a causa della cattiva informazione. Dobbiamo implementare, quindi, l'informazione da parte vostra e da parte nostra, uniti, insieme, perché il rischio è anche che passi un'informazione nazionale di un tipo e una regionale di altra natura.
  Un'ultima cosa sui dati PFAS. Nella Valle dell'Arno questi dati non vengono nemmeno cercati: perché? Eppure i cloruri in quella valle, che è una valle conciaria, come risultato di scarico sono esattamente il doppio di quelli veneti. Mi domando perché ciò avvenga, visto che siamo in un'Italia unita.
  Controllate anche questo dato. L'attenzione che in Veneto stiamo dando a questa problematica deve essere un'attenzione nazionale: non può essere un problema solo del Veneto, bensì un problema del Piemonte, della Lombardia, della Toscana e così via. Purtroppo ci sono aziende che lavorano queste maledette sostanze, quindi sta a voi, in tempi adeguati, proibirne l'uso con un'apposita norma.
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Se mi permettete, vorrei aggiungere solo un particolare. Il mio collega di Lonigo ha detto che dal 2011 stiamo monitorando la questione. In realtà ciò avviene dal 5 luglio del 2013 – era un venerdì – alle 18.30, quando ho ricevuto la prima telefonata che mi informava che il mio acquedotto era inquinato. Tutti i passaggi che ho vissuto in prima persona sono stati una collaborazione importante fra sindaci, ULSS, regione e di questo bisogna dare atto.
  Magari ci abbiamo impiegato qualche momento in più, ma bisognava essere certi che tutta la documentazione fosse idonea e inattaccabile. Capisco i comitati e gli ambientalisti, però si devono avere dati statistici storici, altrimenti facciamo una grossa confusione. Noi vogliamo essere istituzionali fino in fondo, però voi dovete darci una mano perché alle istituzioni il Pag. 24cittadino, a volte, come avete visto purtroppo in tanti momenti, non crede più e noi siamo in prima fila a mostrare la nostra faccia. Grazie.
  PRESIDENTE. Grazie per questa disamina. Chiedo ai colleghi se abbiano qualche domanda specifica da fare.
  LAURA PUPPATO. Vorrei sgombrare il campo da un equivoco, che mi pare ci sia perché alcune vostre espressioni lo hanno rappresentato: qui non c'è una contrapposizione preconcetta tra lo Stato e i cittadini, lo Stato e i comuni. Io ho fatto il sindaco in Veneto e sembra incredibile che ci sia questa presunzione di contrapposizione. C'è un dato di fatto che ho letto nel dossier di Legambiente, Acque cattive, da cui abbiamo desunto che, analizzando le acque italiane, il Veneto era ammalato di PFAS nelle acque del vicentino, del padovano e del veronese. Questa analisi è stata pubblicata nel 2015 e coglieva i dati relativi a uno studio del CNR, che era stato richiesto relativamente allo stato delle acque previsto dalla direttiva europea n. 60 del 2000, recepita dall'Italia nel 2006, per cui il Ministero dell'ambiente ha fatto questa verifica non con l'intenzione di trovare negatività, ma con la speranza di non trovarle; invece questo ha portato a constatare che le acque, sia superficiali che di falda, in alcuni comuni del Veneto erano inquinate da queste sostanze perfluoroalchiliche.
  Noi stiamo raccogliendo tutti i dati necessari ma non abbiamo una conoscenza così chiara e precisa dei fatti, altrimenti non vi avremmo neanche invitato: stiamo cercando di contribuire a fare luce. Ovviamente, c'è urgenza e condivido quanto diceva la sindaca di Sovizzo, a maggior ragione in una realtà che, come diceva lei, sindaco, ha vissuto tutto il tema delle concerie e dove per 40-50 anni abbiamo avuto un inquinamento da altri prodotti: è il momento di fare chiarezza. Pag. 25
   Capisco le vostre tensioni e i vostri timori, che condivido; come sindaci, posso comprendere quanto state subendo e vivendo, però devo farvi una domanda e vi prego di essere assolutamente sereni e onesti nella risposta perché si tratta esclusivamente di capire, anche a livello di responsabilità, dove e se ci sono queste ultime. Come nel 1977 ha provveduto lo Stato, insieme con le province e i comuni, penso che siamo qui per darci una mano e non per darci coltellate sulla schiena; siccome c'è questa emergenza sanitaria – credo che la si debba definire così, senza fare allarmismi ma anche senza nasconderla – non credo che vada a nostro beneficio pensare che tanto è inquinata tutta l'Italia: se qui, in alcune province del Veneto, c'è un'evidenza, è bene che questa si sani.
  Voi avete detto che i filtri sono stati messi a partire dal 2013 ma non ovunque, però, come ci diceva il procuratore di Vicenza, vorrei sapere se potete spiegarci con quale criterio questi siano stati installati, secondo quale logica, sia relativamente agli acquedotti, sia, soprattutto, al tema dei pozzi, che mi pare di capire sono stati quelli immediatamente esaminati. Lei, sindaco, ha detto di avere scritto nel 2015 facendo presente questa situazione e di non aver ricevuto risposta; noi abbiamo dei documenti che, in effetti, hanno visto risposte molto vaghe e lontane nel tempo, però vorrei capire se le richieste siano state fatte ad ARPAV e come questa abbia risposto, se le richieste siano state fatte ad ULSS e come questa abbia risposto; vi chiedo, cioè, di essere precisi, in modo da farci capire il quadro chiaro della situazione. Grazie.
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Brendola è stato il primo comune che ha dovuto mettere i filtri, in quanto avevamo una sommatoria di PFUA e PFAS pari a 1.570 nanogrammi litro nell'acquedotto, il 17 o 18 giugno del 2013. I filtri sono stati posizionati dal nostro servizio idrico integrato e, Pag. 26appositamente, abbiamo acquistato una macchina (io sono anche vicepresidente di bacino).
  LAURA PUPPATO. Quindi dal consorzio?
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Il servizio idrico integrato non è un consorzio, è una società partecipata pubblica. Abbiamo speso 200.000 euro per acquistare una macchina in grado di valutare quanti PFAS ci sono nell'acqua. In questi giorni abbiamo finanziato l'acquisto di un'altra macchina, per 100.000 euro, come ente di bacino e, 100.000 euro, come servizio idrico integrato – la macchina costa altri 200.000 euro – per monitorare eventuali altre sostanze chimiche presenti nell'acqua. Adesso parliamo di picogrammi. Penso che sia già in funzione; si stanno facendo le prove e quindi, entro quindici giorni, sarà già in grado di operare; è la seconda macchina in Italia; un'altra è nel veronese o nel padovano.
  Per quanto attiene invece al comune di Brendola, siamo partiti in acqua sicura, sotto i parametri che c'erano stati indicati dalla regione il 24 agosto del 2013, quindi filtriamo l'acqua da quel periodo e abbiamo già cambiato due volte i filtri; ogni cambio di filtro vuol dire 35.000 euro, solo per Brendola.
  LAURA PUPPATO. Ma dalla regione vi erano stati indicati i parametri nel 2013?
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Sì, nel 2013. Il 13 gennaio del 2014 è stata fatta una riunione in regione con il direttore generale della sanità, dottor Mantoan e, il 27 gennaio è stato applicato il nuovo parametro: 500 e al di sotto...
  LAURA PUPPATO. Sempre nanogrammi litro?
Pag. 27
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Sempre nanogrammi litro. Riusciamo ad abbattere, in 11-12 mesi, da 700 in entrata a 150-200 in uscita e siamo all'interno della norma, anche se purtroppo non raggiungiamo zero.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Molto velocemente. A Lonigo i filtri sono attivi da marzo-aprile del 2014, proprio per i motivi, anche contingenti, di denaro e per scelte fatte all'interno dell'ATO (prima hanno messo a posto Brendola e poi Lonigo). A quel tempo ero in minoranza ma farò avere alla Commissione gli ordini del giorno e le interpellanze che abbiamo prodotto; la prima era del 29 ottobre 2013, la seconda del 28 novembre 2013, la terza del 19 dicembre 2013; poi il 27 novembre 2014, il 22 gennaio 2015 e il 26 febbraio. Queste sono tutte attività con cui, come gruppo di minoranza, a quell'epoca sollecitavamo il sindaco presente affinché si adoperasse per dare risposte ai cittadini e fare pesare le difficoltà della nostra cittadinanza. Nel frattempo l'assessore della mia città, che a quel tempo era responsabile dell'ULSS 5, è stato poi rimosso da quella carica per via dei parametri, diversi e più tolleranti, che venivano applicati dalla ULSS 5 per valutare la potabilità dell'acqua, cosa che noi avevano fatto notare chiedendo che venisse data una compiuta e trasparente comunicazione alla cittadinanza.
  Qui si ha paura, a tutt'oggi, di dire che siamo di fronte a un disastro ambientale: io l'ho detto e lo continuo a ribadire. La conferenza dei sindaci dell'ovest vicentino mi aveva demandato a fare una richiesta in tal senso allo Stato italiano, cosa che ho fatto. Poi la politica ha fatto il suo corso ed è diventata una bella richiesta da parte del presidente della regione Veneto, dove però non si parla più di disastro ambientale ma di intervento straordinario: qui giochiamo sul lessico!
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  LAURA PUPPATO. Mi scusi, per quanto riguarda la scelta di mettere i filtri; il procuratore dice che ciò non è sufficiente e che questi filtri non sono stati posizionati in qualsiasi punto utile per evitare un incremento...
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Mi scusi, ma è ragionevole credere che nel 2013, quando è esploso il problema, non era facile trovare filtri sul mercato. L'ingegnere della società che gestisce il ciclo integrato dell'acqua saprà darvi risposte migliori e più tecniche: era difficile trovare questi filtri, ma da qualche parte bisognava partire. A quel tempo, politicamente credo che abbiano ritenuto di partire da Brendola e non da Lonigo. Questi sono i lavori che abbiamo fatto in consiglio comunale e, anche a Lonigo, per parecchio tempo, veniva filtrato solo il 50 per cento dell'acqua; solo successivamente si è arrivati al cento per cento, mentre per alcuni mesi non c'era la capacità tecnica di andare a depurare tutta questa acqua (stiamo parlando di città intere perché l'acqua del Misano arriva fino a Montagnana, quindi ha un bacino di utenza di oltre 200.000 persone).
  ALBERTO ZOLEZZI. Ringrazio i sindaci di essere qui. Da quando avete iniziato a dare un'informazione più sostanziale ai vostri cittadini? Teoricamente in un comune si può accedere tramite le varie ULSS a dati epidemiologici comunali senza neanche aspettare i dati eventuali di ISDE o ENEA. Come vi ponete sulle produzioni attive di perfluoroalchile a catena corta, che su una popolazione già esposta – anche se probabilmente c'è una biodisponibilità diversa – continua ad essere un'eventuale fonte di rischio, che chiaramente pone un problema politico, grave anch'esso, di eventuale cambio totale di un'attività produttiva. Voi non ne avete parlato, però credo che ci si debba porre anche questo tema. Grazie.
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  MARILISA MUNARI, sindaco del comune di Sovizzo. Per quanto riguarda la comunicazione, noi abbiamo sempre collaborato assieme all'ULSS e alle autorità competenti; nel momento in cui si prendevano delle decisioni, le abbiamo sempre comunicate tramite il sito e la stampa locale. Alle domande che provenivano dei cittadini, si è data sempre una risposta oggettiva. Lei tocca un tasto molto dolente perché, se ho capito bene la domanda, lei chiedeva come ci poniamo nei confronti della principale fonte di questo inquinamento. Ho evidenziato il fatto che, a distanza di 40 anni, ci ritroviamo a vivere la stessa cosa; ricordo un'altra vicenda che mi preoccupa e che non vorrei mai si ripetesse oggi. Nel 1977 è avvenuto l'inquinamento, nel 1978 è stato fatto l'acquedotto; da subito i sindaci di Monteviale, Creazzo e Sovizzo si sono costituiti parte civile, ma mi risulta che non ci sia stata alcuna condanna perché non c'erano i termini di riferimento. La cosa più tragica è avere lo stesso esito a 40 anni di distanza. Peraltro, all'epoca, era stato proibito l'utilizzo dell'acqua sia per l'irrigazione, sia per l'abbeveraggio degli animali; nella dicitura di un telegramma del Ministro dei lavori pubblici, del novembre 1977, si era detto che, non essendoci dei parametri...
  PRESIDENTE. Scusi, però è chiaro che parliamo di sostanze diverse!
  MARILISA MUNARI, sindaco del comune di Sovizzo. Sì, sono sostanze diverse. Voglio solo dire che all'epoca, in mancanza di informazioni certe, si era proibito. Presumo che 40 anni non siano passati inutilmente per quanto riguarda la conoscenza della dannosità della sostanza e che quindi non si sia intervenuti perché maggiormente edotti; nel momento, però, in cui si deve perseguire chi compie un disastro ambientale ma manca la normativa di riferimento che definisca il limite oltre il quale Pag. 30si può perseguire qualcuno, rischiamo che la storia si ripeta: una cosa che mai vorrei.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Io, da subito, ho iniziato organizzando delle serate pubbliche e sono già arrivato alla terza con quella di sabato con Legambiente; in precedenza, a gennaio, avevo invitato i dottori dell'ISDE e, ancor prima, i tecnici dell'ARPAV, dell'ULSS e del consiglio di bacino della Valle del Chiampo e della società che gestisce il ciclo integrato dell'acqua, proprio per dare delle risposte tecniche; le tre relazioni, infatti, avevano natura diversa, sia tecnica, sia sanitaria, sia legata all'ambiente.
  Come sindaci siamo molto uniti; non ci sono primi attori o primedonne, almeno nel consiglio di bacino della Valle del Chiampo; abbiamo quindi demandato un'attività congiunta al nostro presidente e, il 19 ottobre 2015, abbiamo inviato una richiesta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a firma di tutti i sindaci, avente ad oggetto la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle acque sotterranee e superficiali nei terreni della provincia di Vicenza e ai comuni della stessa, con la richiesta di adozione di provvedimenti ai sensi della parte VI del decreto legislativo 152 del 2006: non abbiamo mai ricevuto risposta.
  In regione Veneto, il 20 ottobre, abbiamo mandato l'individuazione del soggetto responsabile dell'evento, da noi individuato e circostanziato con una recente denuncia depositata giovedì scorso dal nostro presidente, dottor Giorgio Gentilin, sindaco di Arzignano, e dal sindaco di Brendola. Successivamente abbiamo inviato all'ARPAV, dipartimento provinciale di Vicenza, l'individuazione del soggetto responsabile per avere dati a conforto della querela depositata; con i nostri legali abbiamo infatti ritenuto di fare una denuncia molto circostanziata, da cui risultasse, con documentazione che riteniamo Pag. 31inattaccabile, che la matrice principale di questo inquinamento è certissimamente la ditta Miteni o la precedente. Nella seduta del 10 maggio c'è stata l'approvazione di due progetti per l'estensione della rete idrica e l'autorizzazione al nostro presidente di depositare quella querela di cui vi dicevo prima: un'attività, quindi, congiunta da parte di tutti i sindaci del consiglio di bacino per tentare di avere insieme una massa critica più importante e rilevante, per essere poi coerenti ed efficienti nei confronti della lotta a questo inquinamento.
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. La comunicazione è stata fatta in maniera propositiva e sempre positiva: l'abbiamo portata sempre dappertutto, addirittura nelle scuole d'infanzia e, qualche giorno fa, nel palazzetto, alla presenza di 700 persone che sono venute ad ascoltare una serie di attori, dalla sanità al servizio idrico integrato, all'ARPAV, che abbiamo messo insieme al tavolo in modo da spiegare ai nostri cittadini lo stato dell'arte.
  Certamente i nostri cittadini sono preoccupati per la salute – io sono il primo ad esserlo – perché l'acqua costituisce il 70-80 per cento dell'uomo, non ha colori politici ed è il primo bene che dobbiamo difendere. Non ripeto quanto hanno già detto i miei colleghi perché, come diceva il collega sindaco di Lonigo e come ribadito anche dal sindaco di Sovizzo, siamo veramente coesi: siamo sindaci che credono in ciò che fanno e portano avanti le problematiche tutti insieme, benché siamo di culture, credenze o partiti diversi; qui al tavolo ci sono tre credenze diverse ma, nel portare avanti le problematiche, siamo tutti insieme.
  PRESIDENTE. Noi vi ringraziamo. Vi chiederei di farci pervenire la lettera che avete citato, poi ripresa dal vostro collega del comune di Sarego, nonché queste domande di Pag. 32chiarimenti rivolte sia al Ministero della salute, sia al Ministero dell'ambiente, dai quali non avete mai ricevuto delle risposte.
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. Però sono lettere diverse perché provenienti da due ATO diversi. Sarego, pur essendo contermine, fa parte dell'ATO...
  PRESIDENTE. Però, visto che anche loro denunciano, se ci date una copia dell'originale...
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. È già nei documenti che vi abbiamo inviato.
  LAURA PUPPATO. Avete mai avuto rapporti con il consorzio Arica, il gestore del collettore di Arzignano? Vi siete confrontati?
  LUCA RESTELLO, sindaco del comune di Lonigo. I rapporti sono, di fatto, non dico quotidiani ma avvengono per forza di cose. Nel mio territorio passa questo tubo che, giusto o sbagliato che sia, mi preoccupa molto perché è nascosto sotto terra, che non posso controllare; siamo sempre preoccupati per la problematica legata allo scarico che avviene a Cologna; siamo preoccupati perché non sono più arrivati i soldi per concludere quell'opera, anche se, a mio modesto parere, non è che spostando l'inquinamento da un paese all'altro si risolvono i problemi.
  PRESIDENTE. Voi, quindi, avete fatto un esposto come consiglio alla procura?
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Noi giovedì mattina, supportati da un avvocato di Vicenza, abbiamo portato in procura un esposto circostanziato con dieci argomenti.
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  PRESIDENTE. Se ci fate avere una copia, ci fate una grande cortesia.
  RENATO CERON, sindaco del comune di Brendola. Domani mattina avrete copia dell'esposto.
  PRESIDENTE. Vi ringraziamo molto per tutti i chiarimenti che ci avete fornito. Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione del sindaco del comune di Sarego, Roberto Castiglion.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sindaco del comune di Sarego, Roberto Castiglion, che ringrazio per la presenza. Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si riferisce all'ambito dell'approfondimento che, come Commissione, stiamo svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente, con riferimento al presunto inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche.
  Avverto il nostro ospite che della presente audizione verrà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali sono in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Prima di cederle la parola, signor sindaco, vorrei fare una premessa. Noi abbiamo ascoltato adesso i suoi colleghi, i quali Pag. 34pur essendo di un altro bacino sono interessati allo stesso problema. Lei ci ha mandato una relazione, anche molto puntuale, sullo stato dell'arte. Noi il tema lo stiamo affrontando: come abbiamo detto ai suoi colleghi, siamo venuti in Veneto tempo fa – credo nel 2014 – quando si cominciava a parlare del tema in maniera diffusa; poi abbiamo raccolto le dichiarazioni della regione Veneto e dell'ARPA. Sentiremo ora l'Istituto superiore di sanità e la regione; stiamo oggi raccogliendo le opinioni dei sindaci più interessati e, successivamente, anche dei gestori.
  Le chiederemmo, per quelle che sono le nostre competenze, di segnalarci le cose che lei considera più gravi, nonché quelle su cui noi possiamo in qualche modo darvi una mano, intervenendo. Quindi, se ci fa una brevissima relazione, poi le porremo qualche domanda.
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. Grazie. Buonasera a tutti. Sono il sindaco del comune di Sarego, un comune di circa settemila abitanti, geograficamente posto tra Brendola e Lonigo, i cui sindaci mi hanno preceduto. Cito qualche dato per quanto riguarda il territorio del comune di Sarego per inquadrare il problema nel nostro ambito. Nel nostro territorio si sono verificati i valori più alti in assoluto per quanto riguarda le sostanze perfluoroalchiliche trovate nell'acqua di falda, negli alimenti, ma anche nel sangue delle persone. Abbiamo due pozzi presenti nel nostro comune che hanno registrato valori di PFAS superiori ai 2.000 nanogrammi per litro. Ricordiamo che i valori di performance dell'Istituto superiore sono 500 nanogrammi, quindi, quattro volte superiori. Nel nostro comune sono stati stanziati molti soldi pubblici per far fronte a questa emergenza. Il nostro gestore, Centro Veneto Servizi, ha speso 1,2 milioni di euro per installare nuovi filtri, eliminare un pozzo che aveva valori altissimi di queste sostanze Pag. 35e portare l'acquedotto nelle case – che quindi si rifornivano tramite pozzi privati – dove questo non arrivava.
  Questi accorgimenti, però, non servono, non sono una soluzione definitiva perché ogni anno, solo nel nostro comune, vengono spesi 95.000 euro per cambiare i filtri. Dopo due o tre mesi i filtri si saturano e bisogna cambiarli periodicamente.
  ALBERTO ZOLEZZI. Quanto ha detto che spendete ogni anno per cambiare i filtri?
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. Spendiamo 95.000 euro. C'è stato il monitoraggio sulla popolazione esposta che ha rilevato 1.500 nanogrammi di PFOA e 6.600 nanogrammi di PFBA sull'insalata. Oltre al problema che riguarda la salute umana, c'è anche una ricaduta – che poi approfondirò – per quanto riguarda l'impatto sugli alimenti. Infatti, come dice anche l'OMS, solo il 20 per cento delle sostanze PFAS vengono ingerite tramite l'acqua potabile, mentre l'80 per cento viene assimilato tramite gli alimenti. Infatti, negli alimenti si accumulano queste sostanze e gli animali le accumulano nel corpo, come anche i vegetali.
  Quindi, un problema importante è anche quello dell'agricoltura, su cui vorrò porre particolare attenzione perché, secondo me, è stato molto sottovalutato. Per quanto riguarda il sangue, Sarego è uno dei comuni in assoluto più colpiti perché abbiamo avuto concentrazioni massime di 754 nanogrammi per litro di PFOA. I valori medi di PFOA nel sangue su popolazioni non esposte sono di 10 nanogrammi, quindi, in questo caso, stiamo parlando di due ordini di grandezza superiori. Il problema, anche dal punto di vista della salute umana, dal mio punto di vista, è preoccupante per i valori che abbiamo visto. Che cosa ha fatto l'amministrazione di Sarego – e passo al secondo punto della relazione – per far fronte a questo problema Pag. 36? Come amministrazione abbiamo ottemperato alla DGR della regione Veneto che ci chiedeva di fare il censimento di tutti i pozzi usati a scopo potabile, per poi verificare se superavano i valori di performance.
  LAURA PUPPATO. Di quando è la DGR?
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. La DGR è la n. 618 del 29 aprile 2014.
  L'USL, a seguito di questa DGR, ci ha dato dei pareri per emettere le ordinanze. Purtroppo l'USL/5 si è basata sui valori EFSA, che sono ben più alti di quelli dell'Istituto superiore di sanità: 3.000 nanogrammi per litro, mentre l'Istituto superiore di sanità chiedeva di attenersi a 500.
  Noi abbiamo letto le carte, abbiamo chiesto dei chiarimenti e, andando contro le indicazioni dell'USL, abbiamo adottato i valori dell'Istituto superiore di sanità, cioè 500 al posto di 3.000. Dunque, abbiamo chiuso tre/quarti dei pozzi privati presenti nel nostro comune e poi l'USL ci ha dato ragione per l'adozione di questi valori più restrittivi.
  Passiamo al 2014. Abbiamo concluso il censimento nel dicembre 2014; abbiamo chiesto il chiarimento alla fine del 2014 alla regione Veneto e, una volta pervenuto – mi sembra il 16 gennaio – abbiamo iniziato a emettere le 61 ordinanze sugli 84 censimenti che sono avvenuti nel comune di Sarego. Il 24 gennaio 2014 c'è stato il famoso parere dell'Istituto superiore di sanità, che stabiliva i valori di performance obiettivo. Come amministrazione comunale, siccome avevamo i valori tra i più alti in assoluto sui pozzi e, anche se non era stato fatto il monitoraggio, sugli alimenti, abbiamo chiesto all'USL come avremmo dovuto comportarci rispetto al privato che usava l'acqua per innaffiare l'orto o con il contadino che irrigava i campi. Come ho detto prima, infatti, l'80 per cento dell'acquisizione Pag. 37 da PFAS non avviene tramite acqua direttamente, ma tramite alimenti.
  L'ULS/5 riprende il parere dell'Istituto superiore di sanità del 16 gennaio e fa presente l'opportunità di avviare uno studio di monitoraggio sui PFAS, non solo nell'acquedotto, laddove, come la regione ha sempre detto, siamo stati i più bravi, i migliori e dove siamo intervenuti subito, ma anche nell'ambiente e nella filiera agroalimentare del territorio, al fine di definire un profilo di esposizione della popolazione residente. Inoltre, sempre nel parere, l'USL aggiunge: «Resta comunque valida la considerazione che, in contesti di esposizione non riferibili a situazioni di fondo ambientale, come nel caso di specie, per quella parte di popolazione che fa maggior consumo di prodotto alimentare locale – quindi che mangia le verdure dell'orto o le uova della gallina eccetera – la definizione di un valore guida per l'acqua potabile deve necessariamente essere inserita in un contesto di azioni volte a ridurre la contaminazione dell'acqua ad uso irriguo e zootecnico». Quindi, bisogna pensare non solo all'acqua potabile, ma anche all'acqua per uso irriguo e zootecnico.
  Si aggiunge, inoltre, che il Ministero della salute, ad oggi, non ha predisposto nulla in tal senso e, da quanto risulta, anche la regione non è al momento in grado di proporre azioni concrete. Siamo in attesa di indicazioni da Ministero e regione.
  Allora, come autorità sanitaria, ho preso carta e penna e, invece di scrivere all'USL, ho scritto al Ministero della salute, al dottor Giuseppe Ruocco, direttore generale della prevenzione, il 9 aprile 2014. Nella lettera evidenzio questa inerzia da parte di Ministero e regione in merito agli alimenti contaminati da PFAS e sottolineo che solo l'1 per cento di PFOS e il 10 per cento di PFAS vengono assorbiti direttamente dall'acqua: non ho avuto risposta. Pag. 38
   Il 22 gennaio 2015 ho scritto al Ministro della salute Lorenzin, ma non ho avuto risposta neanche da lei. Allora, insieme ad altri nove sindaci vicentini appartenenti al gestore Centro Veneto Servizi, abbiamo scritto al Ministero dell'ambiente per adottare quello che è previsto dal testo unico per l'ambiente (decreto legislativo n. 152/2006). Nel testo unico – me lo sono studiato – non si dice che servono dei limiti per attuare le azioni di prevenzione e di rimozione della fonte contaminante, ma l'articolo 301 richiama il principio di precauzione che prevede, in caso di pericoli anche solo potenziali per la salute umana, che debba essere assicurato un alto livello di protezione.
  A mio modo di vedere, ma anche a modo di vedere dell'ARPAV, non c'è solo un possibile pericolo ma c'è stata una vera e propria contaminazione ambientale. Al di là delle azioni di prevenzione, secondo me il Ministero dell'ambiente avrebbe dovuto attuare l'articolo 305, cioè il ripristino ambientale. L'articolo reca che quando si verifica un danno ambientale, l'operatore, quindi chi ha inquinato – e noi sappiamo, grazie a una relazione dell'ARPAV, che la fonte contaminante viene da una precisa azienda, che si chiama Miteni e ha sede a Trissino – ha l'obbligo di adottare tutte le iniziative volte a controllare, circoscrivere ed eliminare i fattori di danno.
  Se l'operatore non si attiva, il Ministero dell'ambiente ha, in qualsiasi momento, la facoltà di ordinare all'operatore tutte le iniziative atte a controllare, circoscrivere ed eliminare, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno. Come sindaci, con l'ausilio di un avvocato specializzato in temi ambientali, abbiamo chiesto di attuare gli articoli 301 e 305 del testo unico dell'ambiente, che sostanzialmente conferma il principio per cui «chi inquina paga». Inoltre, nel caso in cui non dovesse muoversi l'azienda, il Ministero può muoversi, facendosi risarcire, Pag. 39 per eliminare le cause di contaminazione. Questi sono i fatti su cui tenevo a porre molta attenzione.
  Anche dal Ministero dell'ambiente non ci è arrivata alcuna risposta in merito a questa richiesta. La regione Veneto, con DGR n. 1517 del 29 ottobre 2015 ha, di fatto, aumentato i limiti PFAS sulle acque potabili. Come sindaco ho promosso un'azione del Movimento 5 Stelle, facendo un ricorso al TAR contro questa DGR – ma siamo ancora in attesa di avere la sentenza – perché sono stati di fatto aumentati i limiti.
  Abbiamo fatto un esposto alla procura di Venezia per denunciare i gravi ritardi e il fatto che non si sia dato seguito ad azioni di tutela della salute per quanto riguarda l'acqua che viene utilizzata per irrigare i campi, cioè gli alimenti contaminati da PFAS.
  LAURA PUPPATO. La DGR a cui si riferisce adesso è quella del settembre 2015? Fino a quanto sono stati aumentati i limiti?
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. La DGR è la n. 1517 del 29 ottobre 2015. Il limite iniziale era di 500 per i PFOA, 30 per i PFOS e 500 per tutti gli altri. La DGR ha previsto che la somma di tutti gli altri potesse superare i 500 perché, se di tutti gli altri PFAS ne prendiamo due, solo questi due possono arrivare a 500. Quindi, mentre i PFBA e i PFBS prima, come somma, avevano un limite di 500, ora, essendo stati estrapolati dalla somma, solo questi potevano arrivare a 500. Ciò è stato fatto perché, come noi abbiamo evidenziato, emerge dai rapporti dei gestori il fatto che costava tanto filtrare anche queste particelle, che sono a quattro atomi di carbonio; i filtri, quindi, erano meno efficaci su queste particelle perché erano più piccole e questo comportava un aumento di spesa. Allora, come reazione, la regione ha accomodato i limiti per Pag. 40fare in modo che i gestori non spendessero soldi. Secondo noi, per un principio di precauzione, se c'è un problema, questo non si risolve aumentando i limiti ma intervenendo sulla causa contaminante, facendo cioè pagare l'azienda che ha inquinato e, per un principio di precauzione, si mantengono i limiti, oppure se non altro, li si abbassa. Questa è una cosa che abbiamo fatto. Poi abbiamo fatto un esposto alla procura contro la commissione tecnica regionale. Il problema che abbiamo rilevato è che, avendo chiesto al Ministero della salute indicazioni su quali dovessero essere i limiti per l'uso irriguo e per l'utilizzo dell'acqua sugli alimenti, non ci è stata data risposta. La regione, con la sua commissione tecnica regionale, ha impiegato più di un anno per fare un monitoraggio di circa 30-40 campioni di verdure e di alimenti (adesso non ricordo bene quanti, però era un numero esiguo), cioè un tempo spropositato, laddove poi è venuto fuori che bisognava rifare tutto da capo perché avevano preso i campioni senza seguire un principio unico, posto che ogni USL aveva il suo criterio. Quindi, il monitoraggio non è servito a nulla: soldi spesi inutilmente e tempo sprecato!
  Le richieste sono quelle di adottare dei limiti e delle misure, oltre che per l'acquedotto, anche per l'uso irriguo, laddove secondo me c'è stata grave carenza e negligenza. Inoltre si deve pensare già di andare incontro ai contadini e agli agricoltori perché essi dovranno sicuramente sostenere delle spese per eventi che non sono stati causati da loro responsabilità; magari dovranno mettere dei filtri o dovranno allacciarsi all'acquedotto, non lo so, però dovranno spendere un mucchio di soldi. Ancora, si devono definire questi benedetti limiti per l'acqua di falda e per gli scarichi industriali e si deve poi avere dal Ministero della salute e dal Ministero dell'ambiente una risposta a queste domande, in merito all'acqua per l'irrigazione, per Pag. 41gli alimenti, per l'orto. C'è gente che mi viene a chiedere ogni giorno se può utilizzare quell'acqua per l'orto. Io rispondo che non lo so: ho scritto una montagna di lettere, a destra e a manca, ma nessuno mi ha risposto. Secondo me c'è la paura di affrontare il problema perché, se dovessimo dire che non si può più dar da bere ai campi e via dicendo, potrebbe crearsi una nuova «Terra dei fuochi». Nella nostra zona l'agricoltura la fa da padrona – il vino soprattutto – e abbiamo delle cantine importantissime.
  Bisogna affrontare il problema e non mettere la testa sotto terra, come gli struzzi, per cercare di dimenticarsi della questione. Quindi, occorrono risorse per far fronte al problema agricolo, definire dei limiti e fare in modo che il Ministero della salute intervenga secondo quanto stabilito dal testo unico per l'ambiente. Grazie.
  PRESIDENTE. Grazie, signor sindaco. Chiedo ai colleghi se intendono porre delle domande.
  LAURA PUPPATO. Dal punto di vista dell'acquedotto, il suo comune come sta?
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. Sono state fatte subito delle azioni e sono stati messi subito i filtri. Adesso i limiti più restrittivi dell'Istituto superiore di sanità sono rispettati. Sono già stati stanziati soldi e sono state fatte le prime estensioni di rete. Dunque, gli acquedotti sono in sicurezza.
  ALBERTO ZOLEZZI. Ringrazio il sindaco di Sarego. Voi avete, per conto vostro, alcuni dati epidemiologici raccolti all'interno del comune o vi siete rifatti in qualche modo solamente ai dati recentemente portati all'attenzione pubblica? Lei ha citato, giustamente, PFBA e PFBS, cioè le molecole a Pag. 42corta catena, che sono però ancora in vivace produzione da parte di questo stabilimento e poi, probabilmente, a valle, anche da parte di altri stabilimenti. Come lei giustamente ha già detto, se c'è stato un inquinamento, deve valere il principio per cui chi inquina paga e quant'altro, però, su questo, pensate di iniziare un percorso con gli altri sindaci per capire se questa azienda può smettere di produrre comunque molecole di questo tipo o no? Grazie.
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. Come sindaci abbiamo cercato di fare fronte comune chiedendo, in primo luogo, dei finanziamenti. È stata sottoscritta una lettera con la regione Veneto per avere le risorse necessarie per allacciarsi a fonti pulite. In merito invece ad azioni di responsabilità nei confronti dell'azienda che ha contaminato le falde, di concerto con il gestore idrico, in questo caso il Centro Veneto Servizi, abbiamo promosso un'azione di risarcimento danni. I danni maggiori li ha dovuti sostenere il gestore e so che stanno facendo una battaglia legale. Mi sembra che solo il Centro Veneto Servizi abbia chiesto circa 2 milioni di euro di risarcimento danni alla Miteni.
  ALBERTO ZOLEZZI. Sui dati epidemiologici, voi avevate qualche dato comunale?
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. No. I primi dati a cui ho avuto accesso sono stati quelli forniti dalla regione Veneto nell'incontro che si è svolto nel mese di aprile (mi sembra in regione Veneto assieme agli altri sindaci). Ho chiesto all'USL di avere i dati specifici per Sarego, anche aggregati, ma in merito non mi ha ancora risposto. L'unico dato che ho è il valore di picco che si è avuto a Sarego per quanto riguarda le concentrazioni nel sangue, che è il più alto in assoluto.
Pag. 43
  MIRIAM COMINELLI. Voi avete presentato denunce verso la Miteni o, comunque, relativamente a questo caso anche alla procura di Vicenza?
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. Sì, abbiamo fatto un esposto.
  MIRIAM COMINELLI. Nel caso, avete considerato la possibilità di inoltrare la denuncia anche alla procura superiore di Venezia?
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. Ci stiamo pensando: sì.
  MIRIAM COMINELLI. Va bene. Grazie.
  PRESIDENTE. Signor sindaco, la ringrazio a nome di tutta la Commissione. Abbiamo registrato quanto da lei detto e abbiamo anche il suo documento, che lei ci ha di fatto illustrato. Se avremo bisogno di altri chiarimenti glielo faremo sapere; viceversa, se ha lei qualche segnalazione ulteriore da farci, anche tramite mail o tramite posta, ce lo faccia sapere.
  ROBERTO CASTIGLION, sindaco del comune di Sarego. D'accordo.
  PRESIDENTE. Grazie. Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione del direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo, Alberto Piccoli.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo, Alberto Piccoli, che ringrazio per la presenza. Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma Pag. 44anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si riferisce all'ambito dell'approfondimento che, come Commissione, stiamo svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente, con riferimento al presunto inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche.
  Avverto il nostro ospite che della presente audizione verrà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali sono in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Prima di cederle la parola, signor direttore, le segnalo che abbiamo già ascoltato su questo tema alcuni sindaci dell'area interessata, ai quali abbiamo chiesto di illustrare lo stato dell'arte per quel che attiene agli sviluppi recenti questa vicenda. Noi, come Commissione, abbiamo già acquisito le dichiarazioni della regione Veneto, nonché informazioni dall'ARPAV. Sentiremo anche l'Istituto superiore di sanità; adesso ci interessa il punto di vista dei gestori.
  Le chiederemmo, quindi, per quelle che sono le sue competenze, di segnalarci eventuali criticità che a suo giudizio possono essere di interesse per questa Commissione, nonché aspetti sui quali potremmo cercare di darvi una mano. Dopo la sua relazione introduttiva, le porremo qualche domanda.
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Grazie presidente. Rivolgo un saluto a tutti i commissari. Acque del Chiampo Spa è una società a partecipazione Pag. 45pubblica che si occupa della gestione del servizio idrico integrato (fognatura, depurazione e acquedotto) nei 10 comuni soci (Arzignano, Altissimo, Chiampo, Montorso vicentino, Crespadoro, Nogarole Vicentino e San Pietro Mussolino, Montecchio Maggiore, Brendola e Lonigo), facenti parte dell'ATO «Valle del Chiampo».
  La popolazione servita è di 95.200 abitanti. Tra le attività relative al servizio idrico integrato c'è la gestione degli impianti di depurazione di reflui civili ed industriali (depuratore di Arzignano, Montecchio maggiore e Lonigo).
  Gli impianti di depurazione hanno una potenzialità in termini di abitanti equivalenti così divisa: Arzignano, 1.500.000 ab/eq; Montecchio, 70.000 ab/eq; Lonigo, 70.000 ab/eq.
  Si trattano, in totale, circa 18.600.000 metri cubi di reflui all'anno così divisi: Arzignano, 7.400.000 mc/anno di refluo industriale e 4.200.000 mc/anno di refluo civile; Montecchio, 3.500.000 mc/anno; Lonigo, 3.500.000 mc/anno.
  L'impianto di depurazione di Arzignano, oltre ai circa 50.000 abitanti di sette dei dieci comuni della Valle del Chiampo, tratta reflui industriali provenienti da 150 concerie direttamente collegate all'impianto mediante 40 chilometri di fognatura ad esse specificatamente dedicata.
  I tre impianti di depurazione non scaricano le proprie acque depurate direttamente in corso d'acqua superficiale, bensì in un collettore gestito dal consorzio A.Ri.C.A, che immette tali acque nel corso d'acqua Fratta Gorzone, posto 30 km più a valle.
  L'approvvigionamento dell'acqua distribuita dall'acquedotto gestito dalla società avviene principalmente attraverso pozzi di fondovalle, localizzati nei comuni di Chiampo, Arzignano, Montecchio Maggiore, Brendola e Lonigo, che prelevano l'acqua ad una profondità variabile tra i 40 e i 100 metri; per i comuni montani l'acqua viene derivata da sorgenti collinari e montane Pag. 46poste ad una quota compresa fra i 220 e 1200 metri sul livello del mare. Su Brendola e Lonigo approfondirò più nel dettaglio successivamente.
  Per quanto riguarda l'acquedotto, abbiamo una rete che si estende per 960 chilometri ed eroghiamo poco meno di 15 milioni di metri cubi di acqua all'anno. Faccio un brevissimo accenno alla cronistoria, che credo conosciate già. Ricordo solo la data dell'11 giugno 2013, giorno in cui la regione Veneto ha trasmesso una nota del Ministero dell'ambiente per informare gli enti d'ambito e i gestori del servizio idrico, Acque del Chiampo in primis, della presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle acque superficiali di alcuni corsi d'acqua e nelle acque potabili di alcuni acquedotti.
  Non c'è bisogno che vi dica che uso si fa delle sostanze perfluoroalchiliche: le troviamo nelle pentole antiaderenti ma anche nel Gore-Tex, senza fare riferimenti pubblicitari. Piace però ricordare l'inciso con cui l'Istituto superiore di sanità commentava questo fatto. L'Istituto affermava che «...pur non configurandosi allo stato un rischio immediato per la popolazione esposta, si ravvisa l'opportunità ed urgenza di adottare adeguate misure di mitigazione dei rischi, prevenzione e controllo estese alla filiera idrica sulla contaminazione delle acque da destinare e destinate al consumo umano nei territori interessati. Di conseguenza, valutando che la situazione possa comportare un rischio potenziale per la salute umana, si consiglia l'adozione di misure urgenti di trattamento delle acque potabili per l'abbattimento sostanziale di tali sostanze inquinanti».
  Apparentemente è banale ma, in realtà, è un'importante problematica che abbiamo dovuto affrontare. L'acido perfluoroottansolfonico (PFOS), l'acido perfluoroottanoico (PFOA) e le sostanze perfluoroalchiliche in generale (PFAS) non erano noti, Pag. 47tant'è che nemmeno ARPAV aveva la strumentazione per ricercarli. Le prime analisi che sono state commissionate da ARPAV ci sono arrivate nel luglio del 2013. Qui si evidenziava che 6.590 utenti di Brendola e 15.450 utenti del comune di Lonigo stavano bevendo acqua con la presenza di sostanze perfluoroalchiliche.
  A questi dovevano essere aggiunti 150 abitanti del comune di Brendola e 860 del comune di Lonigo che non avevano l'acquedotto e prelevavano, come spesso accade nelle nostre zone, direttamente dalla falda. Anche questi, evidentemente, bevevano acqua con presenza di sostanze perfluoroalchiliche. I livelli erano 785 nanogrammi di PFOA e 59 nanogrammi di PFOS. Simili erano le concertazioni anche nel comune di Brendola.
  Trascorso nemmeno un mese, il consiglio di bacino Valle del Chiampo ha convocato tutti i sindaci, ARPAV e i gestori del servizio idrico ed ha avviato un tavolo di lavoro, molto ristretto e operativo, per avviare gli interventi necessari. A questo tavolo era sempre presente la ULSS, che ha il compito di controllare i nostri acquedotti.
  Elenco una sequenza di interventi che abbiamo realizzato. Sembra banale, ma abbiamo acquistato un macchinario di laboratorio per verificare la presenza di PFAS.
  LAURA PUPPATO. Come società Acque del Chiampo?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Sì, lo abbiamo comprato noi.
  LAURA PUPPATO. ARPAV non l'aveva?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Sì ma, dovendo fare i nostri controlli e assicurare agli utenti non serviti un controllo puntuale a seguito dell'ordinanza Pag. 48dei sindaci, abbiamo comprato anche noi la strumentazione. Come dicevo, oltre che agli utenti serviti dall'acquedotto, dovevamo dare supporto ai sindaci al fine dell'emanazione delle ordinanze per la potabilità o non potabilità. Abbiamo comprato il nostro macchinario e siamo stati in grado di dare risposte abbastanza celeri ai cittadini che chiedevano di fare analisi.
  Poco più di due mesi dopo, il 20 agosto 2013, è entrata in funzione la prima centrale a filtri a carboni attivi, che serviva a mettere in sicurezza da PFAS gli abitanti del territorio di Brendola. In concomitanza, abbiamo cominciato a estendere la rete di acquedotto a parte di quei cittadini che ne erano ancora privi. Un altro passo importante è stato quello del 21 marzo 2014 quando, parallelamente a quanto fatto a Brendola, anche nella nostra centrale di prelievo dell'acqua di falda di Lonigo abbiamo installato un sistema di filtri a carboni attivi. Faccio un inciso. Quando siamo andati sul mercato alla ricerca di filtri a carboni attivi, a parte la difficoltà di trovarli in pieno agosto, i fornitori ci chiedevano cosa ne avremmo fatto perché nessuno sapeva che potevano essere usati per le PFAS. In base alla letteratura e alla sperimentazione sul campo, noi li abbiamo applicati ottenendo oggettivamente buoni risultati.
  Successivamente abbiamo cominciato a ragionare sull'emergenza. Per gli utenti che erano ancora privi di acquedotto e la cui situazione, vuoi per la progettazione, vuoi per gli adeguamenti infrastrutturali, richiedeva tempo, abbiamo installato nei collegamenti terminali dell'acquedotto delle «fontanelle» di acqua senza PFAS. Attraverso i sindaci, anche gli utenti più sfortunati, magari perché residenti in posti impervi senza acquedotto, potevano prendere acqua potabile alla fontanella. Anche quest'opera ha dato buoni frutti perché siamo riusciti ad arrivare il più vicino possibile agli utenti ancora non serviti dall'acquedotto. Pag. 49
   Abbiamo anche pensato – ragionamento su cui molto probabilmente bisognerà concentrarsi in futuro – ai cosiddetti adeguamenti infrastrutturali. Invece di prendere acqua da un pozzo contaminato e trattarla, è meglio prelevare acqua non contaminata da PFAS in zone dove i PFAS non ci sono o non ci sono ancora. Avendo un altro pozzo nel comune limitrofo di Montecchio, abbiamo cominciato a fare quello che in tecnica acquedottistica si chiama «interconnessione di rete». Con tubazioni non provvisionali ma definitive abbiamo collegato pozzi non contaminati. Abbiamo fatto questi interventi ma, soprattutto, ne abbiamo programmati altri importanti per estendere alla totalità del territorio la rete di acquedotto.
  La scorsa settimana il progetto esecutivo dell'estensione di rete è stato approvato. Avremo un appalto e credo che entro il 2017 serviremo finalmente tutti gli utenti di Brendola e di Lonigo con acqua prelevata dai pozzi di cui ho detto. Questo comporta un determinato impegno economico. Ho il dovere di dire che tale impegno è attualmente tutto a carico della tariffa per i cittadini. Se analizziamo voce per voce, infatti, andiamo dai 180.000 euro del nuovo strumento che abbiamo comprato, ai 200.000 euro del primo impianto a carboni attivi, all'impianto di Lonigo che ne costa altrettanti.
  PRESIDENTE. Mediamente questi investimenti quanto incidono sulla tariffa?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. La proiezione di questi interventi, dei quali il più importante – di cui vi parlerò dopo – è pari a 1,4 milioni di euro, potrebbe incidere per il 2 o 3 per cento della tariffa, che si attesterebbe non più al 4,5 o 5 per cento attuale, ma all'8 per cento. La tariffa è l'aggiornamento di ciò che avviene negli anni precedenti. Gli investimenti adesso sono approvati ed è ovvio Pag. 50che, salvo interventi straordinari, saranno a carico dei cittadini dei dieci comuni serviti per i prossimi due anni. Questo è l'ordine di grandezza dell'incidenza percentuale.
  Non faccio il riepilogo dei costi per singola voce ma, tra interventi eseguiti e interventi che abbiamo in programma – come vi ho detto, abbiamo approvato il progetto definitivo – stiamo parlando di poco meno di 2,4 milioni di euro. A questi vanno aggiunti, finché non troveremo altre fonti non contaminate, 98.000 euro all'anno di gestione e costo degli impianti con filtri a carboni attivi.
  Questa è una soluzione che ha garantito ai cittadini afferenti ad Acque del Chiampo, in particolare nei due comuni maggiormente interessati, la tranquillità. È importante ribadire che stiamo fornendo acqua senza PFAS con una tempistica molto rapida, cosa di cui ci vantiamo e siamo orgogliosi. Certo è che questa non può essere la soluzione definitiva. Come dicevo prima, la soluzione migliore sarebbe quella di cercare acqua non contaminata da PFAS, raggiungendo con tubi nostri o di Acquedotti Veneti – dopo ne parleranno i miei colleghi e credo che questa sia la strada giusta – pozzi a cui attingere acqua non contaminata. Fatti gli interventi, però, dovevamo assicurare un piano di monitoraggio sia degli impianti, sia della qualità dell'acqua erogata. Negli impianti di Brendola e Lonigo facciamo ogni settimana un'ispezione generale e una verifica del sistema di disinfezione. Potrebbe succedere che nei carboni attivi si inserisca qualche contaminante microbiologico, che noi abbattiamo con una leggera disinfezione. Anche da questo punto di vista siamo tranquilli. Una volta al mese facciamo il contro lavaggio delle masse filtranti. Abbiamo sostenuto anche un piccolo investimento per effettuare un monitoraggio 24 ore su 24 attraverso un sistema di telecontrollo che registra i dati Pag. 51in ingresso e in uscita dai filtri, nonché eventuali guasti e intrusioni.
  Le masse filtranti hanno, all'inizio, un'efficienza totale che, con il tempo, scema. Per verificare l'efficienza dei filtri, il monitoraggio è mensile nei primi mesi di funzionamento e settimanale quando ci accorgiamo che l'efficienza scende al di sotto del 70 per cento. Questo è il limite per non correre rischi. Sostituiamo i filtri o li rigeneriamo e ripartiamo con un rendimento del cento per cento.
  Per quanto riguarda i controlli sull'acqua che effettuiamo noi e quelli che vengono effettuati da terzi, giova ricordare che la normativa, in particolare il decreto legislativo n. 31/2201, divide i controlli in interni ed esterni. Sono controlli esterni – penso che questi aspetti vi siano stati già chiariti – quelli che competono all'autorità sanitaria. È bene dire che noi siamo controllati: quelli che facciamo noi sono controlli interni, ma nel caso di ambiguità o contraddizioni prevale giustamente il controllo della ULSS. È stato un concetto non facile da spiegare ai cittadini. Noi stiamo investendo anche in termini di controlli, ma quello che conta è il controllo della ULSS.
  Per dare garanzie ai sindaci, che ce lo chiedono a gran voce, facciamo questo tipo di campionamenti una volta al mese. Per la serie di interventi che abbiamo attuato, possiamo serenamente, coscientemente e scientemente dire che, a partire dall'agosto 2013 a Brendola, e dal marzo 2014 a Lonigo, stiamo fornendo acqua ampiamente entro i limiti suggeriti dall'Istituto superiore di sanità.
  Vi do qualche numero. Mediamente preleviamo una concentrazione di PFOS tra 8 e 59 nanogrammi/litro, e di PFOA tra 100 e 785 nanogrammi/litro. In base alle ultime analisi, a Brendola, dove abbiamo appena cambiato i filtri, abbattiamo gli PFOA fino a 45 o meno di 2 nanogrammi/litro, mentre la Pag. 52somma di altri PFAS risulta intorno a 169 nanogrammi/litro. Si tratta di valori che rispettano ampiamente la performance dei complessivi 500 nanogrammi/litro.
  Forse siamo anche più garantisti. Ci siamo infatti anche preoccupati, come era doveroso e come vi avranno detto i sindaci, di dare le corrette informazioni ai cittadini. Abbiamo quindi istituito sul nostro sito una sezione dedicata ai PFAS. Ogni quattro mesi, per i comuni non interessati dalla problematica, produciamo le analisi in bolletta e, da aprile di quest'anno per i comuni di Lonigo e Brendola, pubblichiamo una volta al mese sul nostro sito le analisi aggiornate, così da dare, per quanto possibile, serenità e garanzie agli utenti.
  Poiché le notizie di stampa avevano creato un certo allarmismo, abbiamo anche creato un numero verde dedicato a questa problematica. Ventiquattro ore su ventiquattro, dal lunedì al sabato, un utente può avere le informazioni minime, rimandando a consulenza più esperta nel momento in cui ci fosse bisogno di qualche approfondimento.
  Da ultimo, ma non per importanza, abbiamo deciso di tutelare la società e abbiamo presentato una richiesta di risarcimento danni alla ditta che ARPAV ritiene sia la principale, se non l'unica, fonte di contaminazione da PFAS. Si tratta della Miteni di Trissino. Abbiamo avanzato in via stragiudiziale una richiesta di risarcimento danni per reintegrare la società e i soci delle spese sostenute: l'abbiamo fatto il 26 marzo 2016. Il 1° aprile 2016 Miteni respingeva fermamente le richieste avanzate da Acque del Chiampo, riservandosi addirittura di agire nei confronti della società stessa per danno all'immagine, anche se non mi risulta che Acque del Chiampo abbia mai detto che è stata Miteni. Se è stato detto, è perché sono state riprese comunicazioni ufficiali di ARPAV che Miteni dovrà smentire. A causa di questo rifiuto ci siamo coordinati con il consiglio di Pag. 53bacino Valle del Chiampo, di cui Acque del Chiampo, insieme a un altro gestore, fa parte.
  Il 12 maggio 2016 il consiglio di bacino ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Vicenza, chiarendo i punti e fornendo, a supporto, una consulenza tecnica di tipo idrogeologico, a cui gli enti gestori hanno contribuito, e di tipo tossicologico sugli effetti dei PFAS sulla salute umana. Benché Miteni sostenga di avere messo in atto le misure di prevenzione, il codice dell'ambiente – così come i cittadini e Acque del Chiampo – chiede il ripristino della risorsa idrica: un conto è la prevenzione, altro conto è il ripristino e poco importa che ci siano o non ci siano limiti. La mia società ha dovuto sostenere costi per ripristinare l'uso dell'acqua. Credo che in questo la norma e la sua interpretazione ci diano ragione.
  Per quanto riguarda gli interventi che Miteni sostiene di aver messo in atto, non è evidentemente compito di questo gestore entrare nel merito. I sindaci e i soci devono fare la loro parte. Io dico sempre che Acque del Chiampo sta in mezzo tra le esigenze dei sindaci, che sono i «padroni», e il necessario rispetto delle norme. In questo caso le norme, gli indici e i limiti di performance sono quelli stabiliti dall'Istituto superiore di sanità. Questo è il binario su cui ci muoviamo. È evidente che un gestore, nel momento in cui sostiene un costo, deve ribaltarlo sui cittadini. L'ordine di grandezza ve l'ho detto. Da gestore mi sento di dire che c'è la necessità di un finanziamento straordinario e importante dei costi sostenuti e delle grandi opere infrastrutturali di interconnessione fra gli acquedotti. In Veneto sono sicuro che esista una risorsa idrica di ottima qualità. Credevamo che lo fosse anche la nostra ma, con l'avvento dei PFAS, la nostra acqua è da mettere in disparte per cercare fonti non contaminate. Vi ringrazio. Se avete domande, sono a disposizione.
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  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei porle subito una domanda sugli scarichi. Poiché non mi risulta che siano stati ancora forniti indicatori e limiti, la situazione che monitorate qual è?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. La particolarità del sistema di depuratori di Arzignano è che non scarica direttamente in acqua superficiale: scarica attraverso un collettore gestito da Arica, che questa sera audirete. I dettagli su questo aspetto, probabilmente, vanno chiesti a loro.
  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  MIRIAM COMINELLI. Vorrei chiedere se è possibile avere copia delle carte relative alla vostra azione nei confronti della Miteni, dalla richiesta di risarcimento alla denuncia alla procura di Vicenza. Inoltre vi chiedo se abbiate fatto partire o se siate intenzionati a presentare denuncia presso la procura generale di Venezia.
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Alla procura di Venezia no. Abbiamo fatto in via stragiudiziale una richiesta di risarcimento danni, che non ho alcun problema a farle avere. La settimana scorsa, invece, il consiglio di bacino ha depositato un esposto motivato nei confronti della Miteni. Questo, però, non dovete chiederlo a me ma al consiglio.
  LAURA PUPPATO. Vorrei farle due domande. La sindaca del comune di Sovizzo, appena audita, ci ha spiegato che è dal 1977 che quella zona vede le concerie, con i prodotti in uso a quell'industria, inquinare gli acquedotti.
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  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. La Rimar, forse. La Rimar era insediata nello sito dove adesso c'è la Miteni.
  LAURA PUPPATO. Ha ragione, è proprio così. È una storia che sembra rivissuta quasi tale e quale. I riferimenti delle direttive europee ci dicono che, dove c'è una pressione industriale di un certo genere, è opportuno fare ricerche relativamente agli inquinanti presuntivi frutto di quel tipo di industrializzazione, piuttosto che di allevamenti o di altre forme di pressione antropica. Nessuno vi ha mai informato che poteva essere opportuno, come gestori dell'acquedotto, fare analisi più precise, avendo a cuore quei presunti inquinanti? Non erano assolutamente conosciuti o conoscibili?
  Vengo alla seconda domanda. Lei ha detto che oggi, facendo una serie di analisi sugli interventi realizzati, siete nella condizione di dire che state garantendo acqua potabile ai comuni di Lonigo, Sarego eccetera...
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Sarego non è un mio comune. Io gestisco Lonigo e Brendola.
  LAURA PUPPATO. Bene. Le ragioni per cui, a questo punto, si richiedono investimenti straordinari, come quelli che dovranno portare alla costruzione di un nuovo acquedotto, con una fonte diversa rispetto all'esistente, quali dovrebbero essere? Questa richiesta va razionalizzata.
  È abbastanza strano dire di essere perfettamente in grado di garantire la piena potabilità rispetto ai limiti dell'Istituto superiore di sanità ma, nel contempo, lanciare un allarme dicendo che c'è bisogno di un altro acquedotto, un acquedotto che, peraltro, non costerà più un milione di euro o 100.000 euro per Pag. 56i filtri, ma decine di milioni di euro, per i quali si chiede l'aiuto dello Stato. Vorrei sapere come mettiamo in fila queste richieste.
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Parto dall'ultima risposta. Richiediamo uno stanziamento straordinario perché le misure che abbiamo messo in atto, dalle banali fontanelle all'installazione dei filtri, sono misure che mitigano il problema. I nostri cittadini, però, ci chiedono risorsa idrica non contaminata.
  LAURA PUPPATO. Risorsa idrica pura?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Esatto. Da ingegnere sono d'accordo con lei che i filtri a carboni attivi, sul piano impiantistico, riescono a garantire i limiti di performance. Il costo, come detto prima, è pari a 100.000 euro di manutenzione all'anno. Però la richiesta è di una riserva idrica non contaminata: avevamo una miniera d'acqua che ci è stata violentata. Può ripetermi la prima domanda, per cortesia?
  LAURA PUPPATO. In tema di PFAS, volevo capire se potevano essere presumibilmente identificabili, visto e considerato il tipo di industrie che sussistevano in quell'area. Posso chiederle anche che comunicazioni, anche scritte, ci sono state – se ci sono state – con la ULSS e con Miteni? C'è stato uno scambio di valutazioni o di richieste e che tipo di risposta c'è stata?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Per chiarezza, la Miteni insiste sul comune di Trissino, che non è gestito da Acque del Chiampo. Paradossalmente, il comune di Trissino di problemi con l'acqua non ne ha. L'acqua si è infiltrata ed è andata nel sottosuolo. Come probabilmente Pag. 57 vi è stato riferito, Rimar era insediata nel comune di Trissino, un comune non gestito da Acque del Chiampo e, a suo tempo, ha sversato PFAS in maniera abbastanza «allegra». Ora, dove adesso c'è Miteni, prima c'era Rimar.
  L'antropizzazione della Valle del Chiampo è importante ma, da trent'anni, i reflui della Valle del Chiampo vengono depurati dagli acquedotti e condotti molto più a valle, in una zona in cui non c'è permeabilità della falda. Il cosiddetto «tubone» raccoglie tutti i reflui e li porta a Cologna Veneta; da Cologna Veneta in su non c'è alcuna contaminazione ascrivibile alle utenze conciarie, proprio perché il refluo è stato trasferito più a valle. Questa è la collocazione territoriale.
  Per quanto riguarda i controlli, è da precisare che le sostanze perfluoroalchiliche non sono previste dal decreto legislativo n. 31, che contiene i parametri da monitorare. Come dicevo, la prima comunicazione che abbiamo avuto è stata quella del Ministero. Non so quando sia arrivata lì, ma so che il Ministero ha trasmesso lo studio l'11 giugno 2013.
  Le prime analisi di cui abbiamo potuto disporre attraverso l'ARPAV, con una metodica tutta da studiare, erano del 3 luglio 2013, cioè venti giorni dopo. Successivamente, il 12 luglio 2013, abbiamo comprato la nostra macchina e siamo stati in grado di monitorare direttamente, così da avere un presidio maggiore sul territorio e sapere – forse con più frequenza che affidandoci alla ULSS – i dati della qualità dell'acqua che eroghiamo.
  ALBERTO ZOLEZZI. Vorrei sapere qual è il dosaggio dei nuovi perfluoroalchilici a catena corta prodotti adesso dalla Miteni. Lei ha dato un esempio di dosaggio, visto però che continuano a essere emessi, vorrei saper qual è la situazione e quale la funzionalità dei filtri che posizionate per queste particolari sostanze a catena corta. Pag. 58
   Inoltre, temete o avete fatto uno studio sulla captazione degli inquinanti da parte delle falde e sulla possibile migrazione delle sostanze perfluoroalchiliche dalle acque di falda a seguito della interconnessione dei pozzi non contaminati? La vostra idea è prendere acqua altrove, anziché emungerla dalle stesse falde: pensate di studiare l'eventuale fenomeno del passaggio di queste sostanze tra i vari strati delle acque di falda, anche laddove non vengano aspirate più dallo stesso luogo?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. La risposta all'ultima domanda è sì. Prima di iniziare un costoso campo di emungimento, bisogna fare una serie di prove per analizzare la qualità della falda. Propedeutica alla realizzazione di sistemi di interconnessione è questa campagna sperimentale, che noi abbiamo in bozza. I costi da sostenere non sono banali. Il nostro è un progetto preliminare, che mettiamo a disposizione anche degli altri gestori del servizio idrico. La risposta, però, è sì.
  Quanto all'efficacia dei filtri e ai dosaggi, vi ho indicato prima le concentrazioni. Da quando li abbiamo installati nel 2013 (per misurare il rendimento dobbiamo evidentemente misurare a monte e a valle dei filtri), la concentrazione in ingresso ai filtri varia da 8 a 59 nanogrammi/litro di PFOS, da 100 a 785 nanogrammi/litro di PFOA e da 255 a 1180 nanogrammi/litro come sommatoria di altri PFAS. Misurando la concentrazione in ingresso e dovendo garantire un limite di rendimento, cambiamo i filtri quando la percentuale di rendimento scende sotto il 70 per cento. Non so – non è un dato che posso avere – quale sia la concentrazione di PFOS o altri PFAS presenti immediatamente a valle della Miteni: è una zona non gestita da Acque del Chiampo e non abbiamo la possibilità di accedervi.
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  ALBERTO ZOLEZZI. Dove misurate voi, dosate i perfluoroalchili a catena corta o no?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. No. I perfluoroalchili sono da rimuovere, non da dosare. Noi utilizziamo i filtri a carboni attivi per eliminarli.
  ALBERTO ZOLEZZI. Visto che il problema dell'arresto produttivo non mi sembra di facile soluzione, volevo conoscere i dati in ingresso dei perfluoroalchili a corta catena.
  PRESIDENTE. Fanno parte del secondo gruppo e il dato è 1180 nanogrammi/litro.
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Sono nella sommatoria.
  ALBERTO ZOLEZZI. Ho capito, ma nello specifico non li ha?
  ALBERTO PICCOLI, direttore generale dell'azienda Acque del Chiampo. Li ho come sommatoria dei PFAS in ingresso nei nostri filtri: 1180 nanogrammi/litro. In uscita, in base all'ultimo dato rilevato con l'analisi fatta a Brendola il 3 maggio, la sommatoria è di 164 nanogrammi/litro; a Lonigo l'ultimo dato, del 26 aprile, è di 169 nanogrammi/litro.
  PRESIDENTE. Ringraziamo l'ingegner Piccoli per i dati che ci ha fornito. Se avremo bisogno di ulteriori specificazioni, la ricontatteremo. La ringrazio anche per il materiale che ci può lasciare in visione. Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione del sindaco del Comune di Trissino, Davide Faccio.
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  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sindaco del comune di Trissino, Davide Faccio, accompagnato dall'assessore all'ambiente Gianpietro Raminam, che ringrazio per la presenza. Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo di depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente per il presunto inquinamento di perfluoroalchilici.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Signor sindaco, abbiamo già tenuto una serie di audizioni in merito alla problematica in oggetto. In realtà, eravamo già venuti nel 2014 in Veneto per verificare una serie di questioni e ci avevano segnalato il problema di queste sostanze, sia in falda, nei pozzi, sia nelle acque superficiali. Abbiamo audito la regione, sentito diversi suoi colleghi sindaci oggi (quelli a valle, che subiscono il problema); abbiamo audito l'ARPA e sentiremo sia l'Istituto superiore di sanità, sia il Ministero. Ci dicono che lei ospita una delle aziende considerate, in alcuni documenti e da parte di alcuni organismi ufficiali, come l'eventuale responsabile di questa contaminazione, ma ci risulta che nel suo Pag. 61ambito territoriale non ci siano problematiche a riguardo perché, appunto, non ci sono perdite che interessano.
  Vorremmo capire il suo punto di vista, qual è la situazione, quale rapporto avete con l'azienda in tema di autorizzazioni, se le questioni sono ben regolamentate, se non avete mai avuto problemi, dopodiché le potrà essere rivolta qualche domanda. Ovviamente, per noi l'acquisizione delle risposte sarà importante per la relazione in via di predisposizione. Le do quindi la parola per una breve relazione al riguardo, cui seguirà qualche domanda. Deciderà lei se far intervenire l'assessore.
  DAVIDE FACCIO, sindaco del comune di Trissino. Con il permesso del presidente, passerò la parola al mio assessore, il quale traccerà la storia dell'azienda, giusto per far capire quando nasce Miteni, che cosa fa e chi è.
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. Sono assessore all'ambiente in questo mandato e lo sono stato anche in anni precedenti, per cui la mia presenza è dovuta soprattutto alla memoria su fatti storici e come persona a conoscenza di alcuni fatti. Inoltre, io sono perito chimico e laureato in biotecnologia, per cui offro anche un supporto tecnico-scientifico al comune e al sindaco in questo momento di difficoltà.
  Vorrei illustrarvi la storia della Miteni in due minuti, brevissimamente. Miteni nasce a Trissino nel 1964, non come Miteni ma come Rimar, acronimo per Ricerche Marzotto. Nasce, innanzitutto, come industria chimica addetta alla ricerca di sostanze antimacchia, antirepellenti, una serie di prodotti utilizzati nella tessitura, nel comparto tessile della vallata dell'Agno, molto attivo da un punto di vista industriale.
  Per un problema di lavorazioni, negli anni Settanta si trasferisce dalla prima sede, in collina, in una zona più a valle, Pag. 62a ridosso di una collina, proprio per non creare problemi – soprattutto in quegli anni – all'interno dell'abitato. Le proprietà erano del conte Giannino Marzotto che, in quest'area, costruisce lo stabilimento che attualmente produce una serie di prodotti: fluorurati intermedi, soprattutto per la produzione di farmaci intermedi e di idrorepellenti, tra cui anche le sostanze perfluoroalchiliche. Si utilizzano, però, all'interno dei prodotti, nitroderivati e alogenoderivati, per cui una serie di prodotti che nel tempo, sicuramente, sono continuamente cambiati e hanno anche delle capacità chimiche notevoli.
  Se parliamo di sostanze perfluoroalchiliche, queste sono nate per essere stabili, come dimostrano le ultime ricerche. La loro funzione alchilica è assolta in modo egregio. Abbiamo sostanze con emivita lunghissima – parliamo anche di 90-100 anni – per cui il problema è molto sentito e serio.
  Negli anni Novanta, Miteni viene acquisita da Mitsubishi ENI e, da circa sei o sette anni, da una multinazionale tedesca che ha acquisito lo stabilimento e continua alcune produzioni. Dal 2011 non sono più prodotti perfluoroalchilici a catena lunga, da 8 a 12 atomi, ma a catena corta, di solito da 4 atomi. Questa è una descrizione per darvi un'indicazione di chi sia Miteni.
  PRESIDENTE. Quanto è grande l'azienda, quanti dipendenti ha più o meno?
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. 125. In alcuni momenti ne ha avuti tra 150 e 110, ma è una realtà abbastanza importante da un punto di vista economico finanziario per il territorio.
  ALBERTO ZOLEZZI. Adesso chi gestisce la Miteni? È dentro la multinazionale?
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. È una multinazionale, di cui non ricordo il nome Pag. 63(comunque basta andare sul sito e scoprite subito chi è). È una multinazionale tedesca, un fondo che ha acquisito tutto il pacchetto azionario della Miteni. Come territorio ci troviamo a dover gestire quest'inquinamento ma, soprattutto, a fare i conti con chi ha apportato o tenta di apportare delle soluzioni tecniche per risolvere il problema (che poi sia facile risolverlo, qualcuno dovrà poi spiegarmelo).
  PRESIDENTE. Rispetto ad altre situazioni, dal punto di vista ambientale, autorizzatorio, avete mai avuto problemi con l'azienda?
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. Da un punto di vista autorizzativo, non ci occupiamo noi, come comune, della società ma la regione.
  PRESIDENTE. È evidente, ma visto che siete comunque lì!
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. Abbiamo anche dato delle indicazioni, l'ultima nel 2014, durante il nostro insediamento, per inserire queste sostanze. In quel momento la stampa non ne dava una così ampia diffusione come problema. Consci, comunque, di questo fatto, abbiamo sollecitato di inserirli nell'ultima AIA. Non abbiamo avuto grossi problemi; ho un ricordo, del 1976, di un grosso incidente successo in quell'azienda, con sversamento di atrazine. Purtroppo, la storia si ripete: ho detto ovunque, in qualsiasi riunione, che quello in cui è inserita è un sito di ricarica delle falde, per cui è molto poroso. Se fosse a distanza di 15 chilometri, dove abbiamo un sedime di tipo argilloso, probabilmente non saremmo qui oggi.
  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
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  LAURA PUPPATO. Approfitto anche, assessore, della sua competenza. Lei ha detto, giustamente, che quest'azienda ha utilizzato una serie di sostanze chimiche, facendo ricerca e avendo come clienti nell'area dell'Agno una serie di industrie che avevano necessità di quel genere, per cui si è specializzata in quel tipo di prodotti chimici. Non trova originale, non pienamente giustificabile – lo dico in maniera molto serena ma molto convinta – che non si ricerchino sostanze che comunque sono quelle che vengono a essere lavorate nell'ambito delle falde acquifere, delle discariche, dei pozzi? Questa cosa è uscita, come saprà senz'altro, recentemente a seguito di un'indagine del CNR ordinata dal Ministero dell'ambiente per stabilire il livello di qualità delle acque prevista dalla direttiva europea n. 60 e così via.
  Se non ci fosse stata quella necessità di stabilire la qualità delle acque, probabilmente neanche sapremmo che la gente di quel territorio continua a essere inquinata. Questo caso è molto strano, sapendo che le industrie sono di quel genere. Vorrei una sua opinione su questa vicenda, che non mi è ancora chiara e di cui non riesco a farmi una ragione. Le pongo un'altra domanda.
  Voi avete il problema, come comune di Trissino, dei dipendenti. Immagino che dei 125 dipendenti un pezzo importante abiti, forse, in comune o nei comuni limitrofi.
  Mi consta che ci sia stata un'attenzione – sarebbe il caso di chiarire anche questo – da parte del medico dell'azienda. Vorrei sapere da voi, che siete lì, che cosa invece vi consta. Questo medico dell'azienda aveva determinato che, in effetti, i lavoratori di quell'azienda risultavano contaminati pesantemente da queste sostanze e risentivano – così mi risulta – di alcune specifiche patologie riconducibili a quelle sostanze: quali Pag. 65informazioni riuscite a fornirci da questo punto di vista come comune del territorio?
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. Le sostanze che vengono prodotte – che sono state prodotte – sono minimamente in parte utilizzate nell'ambito del tessuto imprenditoriale; sono, infatti, sempre prodotti intermedi. Principalmente, parlando di sostanze perfluoroalchiliche, la Dupont è la società che, molto probabilmente, commercializzava il famoso teflon, che però – attenzione – è stato utilizzato in tutte le maniere possibili, dalle padelle in poi. Non c'era evidenza di un certo tipo di danno, o quantomeno non c'è anche da un punto di vista scientifico: non sono riuscito a trovare, se non in ipotesi, una pubblicazione che parlasse in tal senso.
  Per quanto diceva prima, relativamente al dottor Costa, il medico competente dell'azienda, ho visto delle sue pubblicazioni fatte in seguito a incontri negli Stati Uniti, dove ricordiamo che c'è stato un fatto analogo nel 2009 – vado a memoria – che comunque è stato oggetto di studio: lì ha portato dei lavori. C'era una leggera ipercolesterolemia, stimabile intorno al 15-20 per cento al massimo, ma di altre patologie particolari non ho avuto notizia. Probabilmente mi sono perso qualcosa, ma non erano così significative da un punto di vista di incidenza sulla salute umana.
  LAURA PUPPATO. Ho letto di malattie cardiovascolari in percentuale maggiore e...
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. Sono comunque correlate al discorso dell'ipercolesterolemia, che di riflesso dà problemi da un punto di vista cardiovascolare. Io ho visto i dati su persone monitorate e la Pag. 66differenza, poi fatta negli anni successivi, tra chi era al lavoro nella fase produttiva e chi era negli uffici. Hanno cominciato a dosare i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), ma solo recentissimamente: prima non c'erano neanche le metodiche, né una standardizzazione.
  DAVIDE FACCIO, sindaco del comune di Trissino. Vorrei spiegare che cosa abbiamo fatto come comune. Premetto che sono sindaco dal 26 maggio 2014, quindi un po' dopo i fatti accaduti ma, soprattutto, dopo la scoperta, che risale al 12 luglio 2013, quando viene inviato il rapporto di ARPAV al Ministero dell'ambiente, alla regione, alle province e al comune di Trissino, dove si spiega, per la prima volta, il problema dei PFAS. Ero assessore, al tempo, ma non mi occupavo di ambiente, quindi ho seguìto solo marginalmente la questione nel 2013.
  Nel 2014, la prima cosa che ho fatto, preoccupato di questa questione che emergeva, è stata quella di chiedere un incontro al prefetto (che ho incontrato il 29 settembre 2014); gli ho spiegato che ero venuto a conoscenza di questa problematica e che il mio comune ne era interessato, come azienda ma non per gli acquedotti perché, fortunatamente, peschiamo più a nord (sembra un fatto strano poiché la Miteni è quasi al confine del nostro comune); non avevo, quindi, questa preoccupazione perché i miei cittadini non erano interessati da questo punto di vista. Il 29 settembre incontro il prefetto e gli spiego questa situazione, preoccupato del fatto che nel mio comune, un piccolo comune, non ci sono né le competenze e men che meno le risorse per far fronte a un problema così ampio.
  Ovviamente, lui mi dà atto e ragione di ciò; creiamo una commissione ad hoc, formata da enti gestori, quindi AVS (Alto vicentino servizi), Acque del Chiampo, Acque Vicentine – non li ricordo tutti – ARPAV – quindi, la regione sostanzialmente Pag. 67– e gli enti gestori dei consorzi di bonifica. Avviamo questa commissione per iniziare ad affrontare il problema, proprio perché, come dicevo, non avevamo le competenze tecniche per affrontare la situazione. Si è susseguita una serie di incontri, a cui era invitata anche l'azienda Mitni, che ha sempre partecipato, incontri nei quali, dal mio punto di vista, erano collaborativi. Vi assicuro che non sono un tecnico specializzato in questo, quindi, dopo dieci minuti, mi perdevo nei tecnicismi e facevo fatica a capirli, ma ho sempre visto collaborazione da parte di tutti, anche da parte dell'azienda stessa. Abbiamo così implementato un sistema di depurazione delle acque, costituito da vari punti che vanno a emungere nella falda; viene così estratta l'acqua e poi filtrata con un sistema a carboni attivi. Certo, da quel che ho potuto capire, non era – e non è tuttora – una cosa così semplice da eseguire, soprattutto perché si va un po' per tentativi. Sicuramente questi pozzi sono stati aumentati di volta in volta, ma tutto è agli atti delle conferenze di servizi.
  Abbiamo avuto parecchi incontri e cercavamo di capire come migliorare questo sistema, tuttavia, all'inizio di quest'anno, ad esempio, abbiamo avuto il problema della siccità, con un abbassamento delle falde; le pompe che aveva installato la Miteni non riuscivano a emungere nelle falde; c'è stato, quindi, un fermo, ma è stata trovata una soluzione tecnica; hanno infatti modificato delle pompe e sono ripartiti con l'emungimento dell'acqua.
  Da come mi spiegano, è chiaro che questo filtraggio, che comunque credo sia importante, non servirà nell'immediato. Mi dicono, infatti, che la falda si muove di circa 1,5 chilometri all'anno. Capite che i comuni che sono a 20 chilometri sotto di noi, probabilmente, avranno questi benefìci – se la matematica non è un'opinione – dopo vent'anni. L'acqua che oggi tiriamo Pag. 68su e filtriamo – o meglio, che Miteni filtra – sicuramente non arriverà più prima di vent'anni nei nuovi pozzi.
  È altresì vero che l'unica ordinanza è stata emessa dal mio ente gestore – AVS – nel 2013: «Il 12/08/2013 AVS intima a Miteni di regolare il proprio scarico industriale al fine di assicurare il valore massimo concesso di 400 nanogrammi su litro come somma di PFOS e PFOA, con decorrenza il 21/12/2013». Il mio ente gestore, quindi, fissa con un'ordinanza a Miteni valori che mi sembra siano sempre stati rispettati dall'azienda.
  Tornando al discorso degli operai, è vero che questa ditta ha 125 dipendenti, ma è altrettanto vero che il problema che si è creato è un ago nel pagliaio. Io rispetto l'occupazione di 125 persone, ma credo che, di fronte al problema che c'è, ciò sia, purtroppo, veramente minimale. Credo, comunque, che l'importanza di mantenere aperta quest'azienda sia vitale. Di fatto, c'è un'azienda che sta sul territorio, che riesce a prelevare acqua e, in qualche maniera, a filtrarla.
  Sicuramente, se quest'azienda non ci fosse più, per me sindaco sarebbe un grande problema, perché la palla passerebbe a me e – vi assicuro – per ciò che mi dicono, fino ad ora, solo di pozzi, sono è stata investita una cifra tra 800.000 e 1.200.000 euro. Capite bene che stante il bilancio del mio comune, ciò significherebbe andare in deficit dopo due giorni. La mia preoccupazione, quindi, è sì l'occupazione, ma questo è minimale rispetto agli altri problemi.
  Spero e mi auguro che quest'azienda continui ad operare, naturalmente senza inquinare. Queste sostanze non sono più prodotte dal 2011: rimanga lì l'azienda e continui ad essere collaborativa, com'è stata finora; prelevi l'acqua e cerchi di filtrarla, altrimenti rischiamo veramente una catastrofe. Ripeto che, comunque, non trarremmo subito questi benefìci perché la Pag. 69velocità della faglia è molto lenta, quindi li vedremo tra molto tempo.
  In senso generale, come penso sia stato detto anche dai colleghi che mi hanno preceduto, credo che siano importanti due cose: che qualcuno fissi dei limiti, visto che ci sono solo valori guida; che arrivino dei finanziamenti per cambiare la rete acquedottistica. Bisogna pescare l'acqua più a monte e non ci sono altre soluzioni immediate. In ogni caso, bisogna dare atto agli enti gestori che, fin da subito, nel giro di qualche giorno, hanno subito messo a regime i loro acquedotti, filtrando l'acqua, ma con costi notevoli che ogni anno devono assorbire.
  ALBERTO ZOLEZZI. Avete qualche dato epidemiologico, sanitario sul vostro comune? L'assorbimento di queste sostanze risulta, nei vari studi, tra il 50 e l'80 per cento dovuto a introduzione alimentare, non all'acqua potabile direttamente. Per quanto riguarda le molecole attualmente prodotte dallo stabilimento, come vi ponete? Questi perfluoroalchili a catena corta sono molto più idrosolubili e, probabilmente, arriverebbero a valle anche in meno di vent'anni. Sono più piccoli e fanno più fatica a essere assorbiti dai normali filtri. Vorrei sapere se li adottate nello specifico a livello degli scarichi industriali di quest'azienda e nelle falde.
  Anche sulla base di questo e sul principio di precauzione, con una popolazione esposta per 40-50 anni, viene il dubbio se sia il caso di accettare il rischio nonostante sia diversa la disponibilità di queste sostanze a catena corta – essendo più solubili, sembra che siano trattenute meno dall'organismo umano, ma parliamo di persone già esposte – o non piuttosto fermare completamente la produzione del perfluoroalchili.
  DAVIDE FACCIO, sindaco del comune di Trissino. Quanto alla prima domanda, non abbiamo alcuno studio: li stanno Pag. 70facendo e sono tuttora in corso. Si sta occupando di ciò la regione Veneto attraverso il dipartimento di sanità. Non siamo ancora a conoscenza di questo. Una cosa che può far tranquilli a metà, è che i miei cittadini non hanno bevuto quest'acqua neanche prima del 2013; sul resto, non abbiamo ancora dei dati.
  GIANPIETRO RAMINA, assessore all'ambiente del comune di Trissino. Quanto alla seconda parte, cioè la produzione di sostanze perfluoroalchiliche a catena corta, effettivamente queste sono molto più idrosolubili, hanno anche un'emivita molto più bassa ma, anche in questo caso, studi di connessione tra causa ed effetto non si trovano, o almeno, personalmente, non sono riuscito a trovarne molti.
  Parlo da chimico e, quando produciamo una molecola, non sempre sappiamo gli effetti che provoca. Io ho visto gli effetti di alcune attività a distanza di venti o trent'anni. Sapete, per esempio, che nella nostra zona sono nate oreficerie negli anni Cinquanta e Sessanta. Ora, fino a pochi anni fa, veniva utilizzato un elemento che si chiama cadmio in alcune lavorazione, ma gli effetti di quest'elemento, da un punto di vista di danni tossicologici e nefrologi soprattutto, si sono scoperti dopo venti o trent'anni; adesso cominciamo a vedere gli effetti che ci sono sulla popolazione.
  Non voglio mettere altra carne al fuoco, ma attenzione: dove ci sono attività industriali e produttive – ricordo che la nostra zona produce il 2 per cento del PIL nazionale – il rischio da un punto di vista di inquinamento resta sempre elevato, soprattutto da sostanze di cui non sempre si conoscono gli effetti sulla salute dell'uomo. A questo aggiungo che, spesso, utilizzando l'acqua per le irrigazioni, per le produzioni alimentari, per gli allevamenti animali, tutto il bioaccumulo, è un discorso che andrà studiato e monitorato, almeno per come la penso io.
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  PRESIDENTE. Ringraziamo il sindaco e l'assessore. Se avessimo bisogno di approfondimenti, ve lo faremo sapere. Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione del direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi, Monica Manto, del direttore generale dell'azienda Acque Vicentine, Fabio Trolese, e del direttore generale dell'azienda Acque Veronesi, Francesco Berton.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale del Centro Veneto Servizi, dottoressa Monica Manto, del direttore generale dell'azienda Acque Vicentine, Fabio Trolese, e del direttore dell'azienda Acque Veronesi, Francesco Berton, che è accompagnato dall'ingegnere Carmagnani. Ringrazio tutti i presenti, anche a nome della Commissione, per la disponibilità ad essere qui oggi.
  Vi ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che come Commissione stiamo svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente con riferimento al presunto inquinamento delle sostanze perfluoroalchiliche.
  Siamo già stati, nel 2014, in Veneto, svolgendo alcuni approfondimenti a Verona e a Venezia. Nell'occasione ci era stato già segnalato questo problema dalle prefetture ma, soprattutto, dall'ARPA Veneto e dalle procure. Abbiamo concluso il lavoro in termini di relazione generale territoriale ma, vista l'importanza e la rilevanza, non solo mediatica dell'ultimo periodo, sul tema dei perfluoroalchili, abbiamo deciso di fare, come Commissione, Pag. 72 un ulteriore approfondimento specifico su questa vicenda. In tal senso, abbiamo già ascoltato la regione Veneto, il procuratore di Vicenza e i sindaci più interessati; ascoltiamo adesso voi gestori ed ascolteremo, mercoledì prossimo, l'Istituto superiore di sanità; finiremo giovedì prossimo ascoltando il Ministero dell'ambiente, in modo da definire meglio lo stato dell'arte su questa vicenda. Questa di oggi, quindi, è la conclusione di un approfondimento già in atto.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto (non credo che sia il vostro caso), consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. È chiaro, peraltro, che se qualcuno di voi avesse qualcosa da dire in segreto, dovremmo fare uscire tutti gli altri. È evidente, infatti, che il segreto deve rimanere tale.
  Inizierei con il cedere la parola alla dottoressa Monica Manto, del Centro Veneto Servizi; poi interverranno gli altri. Chiederei a ognuno di voi un brevissimo stato dell'arte per ciò che riguarda le proprie competenze, dopodiché, eventualmente, vi porremo delle domande specifiche al riguardo. Tenete presente che, come credo si evinca da quanto ho detto, siamo già abbastanza al corrente di una serie di situazioni. In questa sede, oggi, ci interessa capire il vostro punto di vista, ciò che è stato fatto e quello che ritenete si debba fare, ovviamente per le questioni che riguardano le attività di cui di cui ci occupiamo.
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. Risparmio, quindi, una serie di dati prodromici, posto che avete sentito già il gestore Acque del Chiampo, il quarto gestore che ha una posizione comune, tanto che la Pag. 73metodica di campionamento e l'avvio di tutte le attività sono state fatte congiuntamente tra gestori.
  CVS gestisce il servizio idrico, tra la provincia di Padova e quella di Vicenza, di nove pozzi, cioè di nove punti di produzione di acqua potabile, gestiti direttamente (ne ha tre in varia misura contaminati): due nel comune di Sarego e uno a Orgiano. Vi ho inviato una scheda per farvi vedere gli interventi eseguiti in via d'emergenza – quindi, in base al principio di precauzione – su questi pozzi.
  Ad oggi, ne abbiamo chiuso uno, ossia quello di Monticello a Sarego, perché aveva una contaminazione importante, superiore ai 2.000 nanogrammi per litro. Abbiamo inoltre attivato e potenziato il pozzo di Sant'Antonio, trattato al cento per cento con il filtri a carboni attivi. Ad oggi, il danno che ha dovuto sopportare il gestore per abbattere queste sostanze, quindi tendere allo zero, è stato di circa 2 milioni di euro. Gli interventi programmati, sinergici con gli altri gestori – poi magari li vedremo insieme quando si parlerà della futura dismissione del pozzo del Misano – ammontano a circa 21 milioni di euro, cioè per portare acqua non trattata dalle risorgive del Brenta verso la zona del montagnanese e ad alcuni comuni del vicentino, nonché ad altri 9,5 milioni per altri 80 litri al secondo, che vengono dalla centrale di potabilizzazione di Piacenza d'Adige. Il totale, quindi, è di altri 30 milioni di interventi per non distribuire acqua dai pozzi del Milano e servire la maggior parte dei comuni contaminati gestiti da CVS. Queste somme sono state oggetto di richiesta risarcitoria in sede civilistica.
  LAURA PUPPATO. Quali sono i comuni gestiti?
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. Quelli contaminati o quelli gestiti in generale? Vuole sapere dei dieci comuni gestiti o di quelli contaminati?
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  LAURA PUPPATO. Quelli gestiti e quelli contaminati.
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. Non li ricordo tutti: quelli gestiti sono 10 su 59.
  LAURA PUPPATO. E quelli contaminati?
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. Quelli contaminati sono Agugliaro, Alonte, Asigliano, Campiglia dei Berici, Orgiano, Pojana Maggiore, Sarego e, nel padovano, parte di Urbana, Megliadino San Fidenzio e Montagnana: insomma, non tutti i vicentini e una parte dei padovani. Comunque, quelli contaminati sono sempre 10 su 59. Dicevo che i 2 milioni di euro sono stati oggetto di una richiesta risarcitoria in sede civilistica alla ditta Miteni, individuata da ARPAV come fonte di pressione, cioè come soggetto contaminante. Abbiamo dato incarico a un geologo di individuare l'effettiva fonte emissiva, di valutare se ci sia un'eventuale permanenza del fenomeno emissivo e di riscontrare o meno l'avvenuto ripristino della risorsa idrica, verificando, quindi, se ci sia ancora contaminazione. Questo è l'oggetto dell'indagine idrogeologica. Credo che forse l'ingegnere Piccoli l'abbia anche citata nella sua relazione, quindi non vorrei ripetere quanto già detto.
  PRESIDENTE. Quanto è grande il CVS?
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. 59 comuni per 250.000 abitanti serviti: sono 7.000 chilometri di rete idrica.
  LAURA PUPPATO. L'ingegnere Piccoli ha lavorato per ARPAV per effettuare questa verifica idrogeologica o per voi?
Pag. 75
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. No, è un altro direttore generale. L'azione risarcitoria e queste valutazioni tecniche sono state fatte congiuntamente tra i tre gestori, Acque del Chiampo, CVS e Acque Vicentine.
  LAURA PUPPATO. Come mai avete detto che è stata individuata da ARPAV la fonte?
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. Ci sono delle note, delle comunicazioni formali di ARPAV, la quale individua la Miteni come fonte di pressione.
  LAURA PUPPATO. Voi avete quindi voluto ricercare attraverso un geologo, con maggiore precisione dal punto di vista stratigrafico, la fonte inquinante?
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. Da un punto di vista idrogeologico: sì. È in corso di completamento la perizia del dottor Sottani.
  FABIO TROLESE, direttore generale dell'azienda Acque Vicentine. Vorrei anche sottolineare il forte lavoro di squadra che stiamo facendo tra gestori interessati da questa contaminazione, tanto che potete giudicare le molte cose in comune che diciamo: tutte le azioni intraprese riguardano tutti. Nello specifico, come Acque Vicentine, gestiamo 31 comuni nella provincia di Vicenza, con 300.000 abitanti serviti. La contaminazione sulla rete acquedottistica, quindi sulla distribuzione, ha toccato esclusivamente tre comuni (Noventa Vicentina, Sossano e Vicenza), mentre altri comuni, pur avendo falde contaminate, non hanno mai avuto problemi con l'acquedotto.
  È specifico il caso di Vicenza, su cui la contaminazione – che adesso non c'è più – è molto ristretta. Questa riguardava il solo Pag. 76pozzo cosiddetto Scaligeri, nella zona industriale ovest, utilizzato solo saltuariamente in momenti di picco. Dal 4 luglio 2013 quel pozzo è stato completamente chiuso, quindi non c'è più nessuna contaminazione nella rete di Vicenza, né in tutti gli altri comuni serviti con la rete di Vicenza.
  Le azioni che abbiamo fatto, oltre a questa di chiusura del pozzo, sono state di monitoraggio nella situazione dei comuni di Sossano e Noventa, dove l'acqua arriva dai pozzi del Misano, di cui dirà di più il gestore Acque Veronesi, che gestisce direttamente le fonti di produzione. Stiamo mettendo in esecuzione alcune estensioni della rete di acquedotto per coprire anche le zone contaminate dalla falda ma non servite da acquedotto: sono molto poche ma lo stiamo facendo.
  Gli investimenti complessivi su questo fronte sono di circa 600.000 euro. Per la copertura del posto Scaligeri, cioè quello dismesso, di cui c'è però comunque necessità, in prospettiva, dell'utilizzo, soprattutto dal punto di vista idraulico, abbiamo pianificato un investimento di circa 2 milioni 300.000 euro. Inoltre, stiamo collaborando in maniera molto stretta con tutti i gestori per trovare una soluzione da proporre alle autorità competenti, in vista della sostituzione, di fatto, dei pozzi del Misano. In quel caso l'investimento è molto più importante: quando sarà pronta la nostra posizione, la presenteremo.
  Da ultimo, assieme a Centro Veneto Servizi abbiamo intrapreso l'azione di richiesta di risarcimento danni alla ditta Miteni, appoggiandoci, per quest'operazione, a dei consulenti idrogeologici e a dei legali.
  PRESIDENTE. Nel ciclo integrato delle acque, tutta la parte depurativa è demandata all'unico consorzio Arica, oppure qualcuno di voi è interessato anche dal tema della depurazione?
  FABIO TROLESE, direttore generale dell'azienda Acque Vicentine. Tutti noi siamo interessati dal tema della depurazione. Pag. 77Il consorzio Arica gestisce una tubazione di scarico di una serie di depuratori di una parte del territorio vicentino, in particolare legati alla concia. Tutto il resto del territorio vicentino, esclusa la parte industriale, per la parte biologica e civile è invece...
  PRESIDENTE. Ognuno di voi si gestisce il suo ciclo integrato! Ascolterò i colleghi di Verona, ma poi ho una domanda sugli scarichi. Abbiamo infatti sentito tutti riguardo alla potabilizzazione, ma ci interessa anche capire la vostra posizione relativamente alle concentrazioni agli scarichi che, come noto, non sono normati.
  FABIO TROLESE, direttore generale dell'azienda Acque Vicentine. Visto che ho la parola, se vuole, su questo le do subito una risposta. Per quanto riguarda gli scarichi e i depuratori di Acque Vicentine, tutti i valori sono inferiori a quelli attualmente indicati dal Ministero e quindi a quelli delle acque potabili in questo momento.
  MONICA MANTO, direttore generale dell'azienda Centro Veneto Servizi. Anche noi abbiamo il ciclo unico integrato, quindi trattiamo anche i depuratori: non ci sono superamenti di limite.
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Acque Veronesi gestisce 77 comuni della provincia di Verona su 760.000 abitanti. Acque Veronesi è, in questo, parte interessata, per via di una centrale che gestisce direttamente, a Madonna di Lonigo, nel vicentino. È una centrale che produce acqua potabile per 500 litri al secondo, distribuendo a 14 comuni gestiti da noi; forniamo, inoltre, acqua ad altre tre società, di cui dieci comuni per il Centro Veneto Servizi, un comune per Acque del Chiampo e due per Acque Vicentine. In totale, sono 27 comuni, con circa 96.000 abitanti sono interessati ed allacciati a questa rete tra le due province. È da notare Pag. 78che questa centrale era sicura finché non abbiamo avuto questa sorpresa. C'erano state solo tracce negli anni: nel 2005 – ancora – di trielina, ma poi più niente, anzi, stavamo dismettendo l'impianto a carboni attivi che era stato installato! Quando è successo questo guaio, avendo ancora l'impianto della trielina, siamo riusciti a riadattarlo al trattamento di questi perfluoroalchilici. Da subito, quindi, abbiamo potuto tamponare e distribuire acqua nei limiti.
  In quel momento, infatti, a luglio, nessuno ci dava alcun dato: nessun limite. Si è fatta una scelta, assieme all'USL 20 di Verona; praticamente si sono utilizzati i limiti di 500 nanogrammi previsti dalla normativa tedesca, così come riferiti ai neonati e alle donne incinte. In forma precauzionale abbiamo preso questo dato per avere un limite su cui poter lavorare con gli impianti. Peraltro, va messo in evidenza che questa centrale è isolata: facciamo molta fatica a collegarla e ciò diventa praticamente quasi impossibile in tempi molto brevi.
  Da qui si è partiti per avviare una ricerca per capire se i carboni attivi fossero sufficienti e ci fossero possibilità alternative per potabilizzare l'acqua. Abbiamo fatto anche delle sperimentazioni, con ossidazione con ozono e UV, ma non hanno dato buoni risultati. Questo dimostra che le catene sono molto lunghe e molto resistenti. Si è provato anche con del carbone in polvere, per ridurre i tempi di contatto sui nostri carboni attivi e allungare il tempo della permanenza della possibilità dei filtri, onde evitare un continuo cambio. Anche questo esperimento non ha dato risultati positivi. Siamo rimasti, praticamente, con i carboni attivi, cioè gli unici che, ad oggi, danno un risultato. Anche nella nomenclatura internazionale, rimane solo il carbone attivo: non abbiamo altro come via d'uscita. Pag. 79
   Con il nostro laboratorio abbiamo messo in piedi la metodica insieme ad ARPAV, che mancava. Adesso abbiamo acquistato un nuovo strumento, molto più sensibile. Il primo arrivava a 20 nanogrammi – una soglia sufficiente – ma l'anno scorso ne abbiamo acquistato uno ancora più sensibile, che arriva a 5 nanogrammi, in modo da essere un po' più certi. Da qui si è avviato uno studio per vedere le popolazioni interessate e tutte quelle allacciate. Come vi dicevo prima, abbiamo fatto, anche insieme alla regione Veneto ma più che altro con i gestori, lo studio di tutta la filiera dell'acqua sotto l'aspetto potabile. Abbiamo così approntato un progetto, già a novembre del 2013, per l'ampliamento dell'impianto di potabilizzazione, passando dagli attuali quattro filtri ai dieci e ampliando il serbatoio di stoccaggio da un milione di metri cubi a 4 milioni: abbiamo, quindi, 5 milioni di metri cubi. Ad oggi, è finito l'impianto, mentre era in servizio per questo mese: praticamente, a fine mese, avremo dieci filtri pronti a trattare tutte i 500 litri al secondo dall'acqua.
  È da mettere in evidenza che tutti i dati nella media mensile finora all'uscita con riferimento alle centrali distribuite, sono sempre rimasti all'interno nei limiti previsti, i famosi 500, i 30 PFOA e i 500 per la sommatoria, con analisi nostre e, ovviamente, anche da parte dell'ULSS. Come analisi sulla rete, in tutti questi anni ne abbiamo fatte 10.000 e 36.000 per il controllo continuo dalla centrale. Su questo ci sentiamo abbastanza sereni del fatto che l'acqua distribuita ai cittadini rimanga nei limiti di performance che ci sono stati indicati. Ci rimane però il dubbio, come gestori, che quest'area sia compromessa e che lo sarà per anni. Si è iniziato un primo step di studio di fattibilità per cercare l'acqua, spostandosi verso il centro, nella zona della provincia di Verona, dove siamo sicuri che abbiamo acqua potabile di buona qualità nelle falde (tanto Pag. 80che a Verona distribuiamo acqua tal quale, un'acqua buonissima). In base allo studio delle falde, insieme con l'autorità di bacino dell'Adige, sappiamo di avere una falda di 3 chilometri, praticamente, un lago d'acqua infinito al di sotto. Anche dai dati storici, non abbiamo mai trovato inquinanti sotto la fascia pedemontana. Tutta la fascia pedemontana veronese, fino al limite di Vicenza, ha questa caratteristica. Si è pensato, quindi, di poter attingere l'acqua in questa zona e di trasferirla alla centrale di Madonna di Lonigo, abbandonando i pozzi della Madonna di Lonigo e mantenendo la centrale di distribuzione in 24 comuni, senza dover stravolgere le adduzioni.
  Abbiamo finito i calcoli sabato sera e, questa mattina, abbiamo alcuni dati. L'idea sarebbe quella di arrivare a est di Verona con un'adduttrice, fino a Madonna di Lonigo, per circa 44 chilometri e quindi di trasferire, da una centrale che abbiamo a Verona est, collegando lungo questa dorsale altre centrali che abbiamo nel veronese, ben 680 litri al secondo. In questo trasferimento l'idea sarebbe di inserire anche un comune veronese al limite con Vicenza, San Bonifacio, dove iniziamo a trovare presenza di perfluoroalchilici e di trielina storica. A questo punto, se c'è questo trasferimento, si pensava di aggiungere anche questo comune e farlo diventare il venticinquesimo su questa dorsale.
  LAURA PUPPATO. Anche perché è un comune abbastanza grande.
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. È uno dei comuni abbastanza grandi. Storicamente, abbiamo la trielina ma adesso cominciamo a trovare anche altro, per cui si pensava di mettere in sicurezza anche quest'ulteriore comune su 25, collegando, poi, con il Centro Veneto Servizi l'altra dorsale dal basso, creando una rete con cui Pag. 81potremmo alimentare questi 25 comuni – queste aree – sia dall'alto, sia dal basso, in modo che possa esserci un trasferimento d'acqua in caso di qualsiasi altra emergenza. Vedete che i costi cominciano ad essere abbastanza importanti, anche perché dobbiamo considerare che dovremo fare un'adduttrice oltre Verona per ritrasferire l'acqua a Verona est proprio per mantenere l'acqua a Verona, altrimenti, depaupereremmo Verona stessa, togliendo altri 300-400 litri.
  Per il primo step, cioè quello di realizzare la dorsale veronese, si parla di 53-54 milioni di opera di trasferimento, a cui vanno aggiunti quelli del Centro Veneto Servizi, cioè altri 21. Come secondo lotto abbiamo messo altri 36 milioni per riportare l'acqua nell'acquifero veronese, altrimenti, come ho detto, avremmo qualche difficoltà a Verona. Il primo lotto di questi interventi costerebbe circa 90 milioni di euro, cioè per la messa in sicurezza.
  È evidente che non riusciamo a far ciò dalla sera alla mattina, anche se domani mattina avessimo i soldi. Serviranno degli anni, sia per la progettazione e l'autorizzazione, sia per la stessa realizzazione: stimiamo circa tre anni di lavoro più le autorizzazioni. Attualmente, siamo in sicurezza, perché abbiamo i filtri – questa batteria di dieci filtri – ma, a lungo termine, direi che...
  PRESIDENTE. I costi di manutenzione rischiano di essere maggiori dell'investimento!
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Esatto, ma oltre a questo dobbiamo considerare che la centrale attualmente in punta, di picco estivo arriva a 550 litri al secondo, il che vuol dire accendere tutti i sette pozzi, due dei quali arrivano a 1.700 nanogrammi di PFAS. Noi cerchiamo di accendere per ultimi questi pozzi: prima accendiamo tutti gli Pag. 82altri quattro, anzi, abbiamo sostituito le pompe, cercato di stressare la falda, proprio laddove abbiamo meno concentrazione. Addirittura, in tre pozzi, i più lontani dalla centrale, si rimane sotto la soglia dei 500 nanogrammi, proprio perché cerchiamo di sfruttare al massimo i pozzi buoni.
  LAURA PUPPATO. Praticamente, avete tre pozzi buoni su sette?
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Sì, buoni, che sono sotto i 500 nanogrammi.
  LAURA PUPPATO. Al di sotto di 500 nanogrammi?
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Sono però 250 nanogrammi, quindi non è che siano esenti: sono i pozzi più lontani dal corso d'acqua. Il ragionamento che si faceva su questo è che, se anche dovessimo cominciare a pensare di collegare i cittadini non allacciati, che hanno i pozzi privati, lì non abbiamo riserva d'acqua: in futuro bisognerà pensarci.
  Inoltre, l'Istituto superiore di sanità, la scorsa settimana, nell'incontro a Venezia, ci ha chiesto di valutare il trend di riduzione dei limiti. Capisce bene che, tra costi gestionali e operativi...
  ALBERTO ZOLEZZI. Il trend di riduzione?
  PRESIDENTE. Più bassi degli attuali...
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Ci hanno chiesto di cercare di capire come scendere sotto quei limiti. Capite bene che cosa cominciano a diventare i costi gestionali: un limite che forse non riusciamo a raggiungere. C'è anche un cambio della produzione, come abbiamo Pag. 83visto dai grafici all'ARPAV. Si stanno riducendo i prodotti a catena lunga, ma rimangono quelli a catena corta: quelli a catena lunga sono più facili da trattenere; per quelli a catena corta, ciò è più difficile. Se cambia anche la produzione e si va verso prodotti tutti a catena corta, diventa ancora più difficile trattenerli. La nostra idea sarebbe, in futuro, di abbandonare l'approvvigionamento come pozzi e tenere la centrale di Lonigo solo come distribuzione dell'acqua.
  LAURA PUPPATO. Le chiedo una cosa: se a Trissino non ci fosse più la Miteni, che situazione avremmo?
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Bella domanda! È una domanda che ci poniamo, ma credo che sia più ARPA a dovere dare una risposta di questo tipo. Almeno per i dati che abbiamo visto da ARPA, il trasferimento nella falda è di 1,3 chilometri all'anno: se è così, vuol dire che, come dicevano loro, ciò che abbiamo visto nel 2013 sono cose di dieci anni. Vado per ipotesi perché non ho studiato: se l'azienda è presente da quarant'anni, vuol dire che, se questi sono i numeri che ci hanno dato, ne avremo per trent'anni.
  PRESIDENTE. Riprendo il ragionamento della collega Puppato per chiedervi una cosa. Mi sembra che, dal punto di vista degli scarichi – ho guardato anche quelli del consorzio – oggi siano quasi tutti rispettati quei limiti indicativi (così mi sembra, forse non dappertutto, ma in quel caso cade la domanda). Ciò che va capito è quanto sia dovuto alla contaminazione storica e quanto sia dovuto all'inquinamento che continua. Che possano esserci sicuramente delle responsabilità per la contaminazione storica, che queste possano essere edulcorate da una non presenza di limiti, da scarsa conoscenza, oppure dal fatto che non eravamo pronti, è – appunto – un'edulcorazione e Pag. 84saranno poi i fatti a dirci come stanno le cose. Sapere però che questo problema rischia di protrarsi nel futuro, perché, come veniva detto, anche nell'utilizzo di queste sostanze a catena corta può comunque esserci una problematicità, sarebbe fortemente colpevole.
  Dal vostro punto di vista, che non è quello dell'organo di controllo, né quello della procura, bensì quello di gestori, cioè di coloro che hanno a che fare con il problema, quanto è imputabile alla storia e quanto invece rischia di continuare a essere un problema nel presente?
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Quando siamo stati interessati del problema dalla regione, una delle verifiche che abbiamo fatto, per capire lo stato delle cose, al di là dei pozzi, è stata quella sui corsi d'acqua laterali ai nostri campi pozzi. Considerate che questi sette pozzi sono lunghi come un'asta di 5 chilometri. Scendendo sui corsi d'acqua che sono a fianco, abbiamo fatto un'analisi e lì abbiamo fatto dei ritrovamenti consistenti: ecco perché dico che nei corsi d'acqua c'erano tali sostanze.
  Il fatto che poi sia una cosa storica ciò che sta avvenendo, è ovvio che con quest'avanzamento della falda stiamo parlando di cose vecchie. Per quanto ci riguarda, nei depuratori civili è difficile trovare PFAS in ingresso a livelli importanti, di conseguenza anche fuori. Abbiamo solo un depuratore interessato nella zona di Cologna Veneta, ma siamo sotto i limiti (a memoria, dovremmo avere trovato un valore di 28 o 30). Facendo analisi in ingresso e uscita, perché volevamo effettuare anche la verifica, qualora ci fossero questi PFAS, se si accumulano nei fanghi, poi diventa un problema smaltirli. La nostra questione, quindi, era in questi termini: se i nostri fanghi avevano PFAS, non sono più smaltibili e dobbiamo smaltirli come rifiuto pericoloso. Pag. 85
   Abbiamo fatto l'analisi, ma comincia a costare anche questo. Vorremmo fare le verifiche di ingresso e uscita. La differenza è sicuramente nel fango, cioè facendo anche l'analisi del fango. Non abbiamo, comunque, trovato valori troppo allarmanti. Tutto ciò arriva anche dal corso d'acqua e dall'utilizzo che si fa delle stesse acque potabili. Onestamente, non so che cosa ci sia nel corso d'acqua, ovvero se ci siano questi impianti non civili. Escluderei l'aspetto dei nostri depuratori. Peraltro, credo che il nostro sia l'unico dato significativo ed essendo l'ultimo comune della filiera a cui arriva lo scarico di Arica, se è quello il veicolo, per forza di cose possiamo trovarcelo.
  LAURA PUPPATO. Varrebbe la pena di sentire anche la Miteni per capire che tipo di circolo anno.
  PRESIDENTE. Per adesso guardiamo alla documentazione.
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Se non si chiude il ciclo, non finiremo mai.
  ALBERTO ZOLEZZI. Vorrei qualche impressione proprio sulle molecole di attuale produzione: riuscite a dosarle? Credo che sia anche più difficile, posto che sembrano più piccole. Inoltre, relativamente ai vostri dosaggi, avete qualche considerazione? È vero che adesso vengono messe insieme a tutti gli altri PFAS? Ci sono teorie per cui questi composti devono essere messi a parte, altrimenti fanno spostare troppo il totale: quando li dosate, qual è la situazione delle nuove molecole? Peraltro, essendo più piccoli, più idrosolubili, verosimilmente si sposteranno anche più rapidamente e magari daranno problemi anche in tempi non così lunghi. Avete, in tal senso, fatto richieste circostanziate al sospetto inquinatore? Infine, avete citato anche una richiesta di stop produttivo; avete detto che, al momento, nei fanghi non avete trovato grosse concentrazioni, Pag. 86quindi la gestione è quella classica. Risulterebbe, dal Veneto, soprattutto l'esportazione in altre regioni, con spargimento da suolo come depurazione civile: avete da fare qualche altra considerazione su questo punto della gestione dei fanghi?
  FABIO TROLESE, direttore generale dell'azienda Acque Vicentine. Sui fanghi le rispondo io, anche a nome – penso – di tutti e tre. Non abbiamo trasferimento all'estero di questi fanghi.
  ALBERTO ZOLEZZI. In altre regioni?
  FABIO TROLESE, direttore generale dell'azienda Acque Vicentine. Neanche in altre regioni. Con gli impianti di compostaggio non so se li portiamo nelle regioni confinanti: li portiamo in impianti di compostaggio o, in piccolissima parte, in discariche autorizzate.
  Per quanto riguarda Acque Vicentine, sicuramente credo che – penso di potere parlare anche a nome di colleghi – le verifiche che abbiamo fatto sui fanghi uscenti dagli impianti di depurazione non abbiano concentrazioni significative dei PFAS. Questo è un problema che, dopo la segnalazione sulle acque, va affrontato e anche molto velocemente, posto che avevamo comunque questo dubbio. Per quanto riguarda il rendimento dei filtri, preferirei che parlassi tu, Francesco, che conosci bene la macchina.
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. Con il permesso del presidente, lascerei la parola all'ingegnere Carmagnani, che ha studiato questi composti dall'inizio alla fine.
  MASSIMO CARMAGNANI, responsabile per la ricerca e lo sviluppo dell'azienda Acque Veronesi. Innanzitutto vorrei ricordare Pag. 87 che è una famiglia di composti con lo stesso nome, ma che si comportano in modo diverso. Abbiamo visto che il carbone è, attualmente, il modo migliore che abbiamo per riuscire ad abbatterli. Abbiamo inoltre scoperto e dimostrato – sono numeri che abbiamo anche passato all'università – che le catene lunghe, appunto, vengono trattenute dal carbone, mentre quelle piccole sfuggono, quindi abbiamo calcolato i tempi di vita. Parliamo di circa 250 giorni di vita in caso di letto a carbone per le catene lunghe e di circa 50 giorni per le catene corte. Capite bene che con le condizioni che abbiamo attualmente riusciamo a gestire il problema, soprattutto con altri filtri. Nell'ipotesi, però, in cui arrivi negli anni un cambiamento della matrice del pozzo o dei pozzi, per cui arriverebbero solo catene corte, non ci sarebbe più niente da fare: non avremmo più il modo per trattenere questi composti. Questo è un fatto importante da ricordare.
  Inoltre, tendenzialmente, quando si dimensiona un filtro per trattare l'acqua destinata al consumo umano, facciamo in modo che il carbone abbia un tempo di vita fra tre anni o quattro anni per poterlo gestire. In questo caso dobbiamo continuamente sostituire massa, oltre agli ovvi costi di gestione e a un problema di messa fuori servizio dell'impianto nel momento in cui cambiamo la massa: questo è molto importante.
  È anche importante dire che abbiamo provato a ossidare secondo il modo più potente conosciuto ma queste molecole non vengono distrutte; sono state create per essere stabili e, infatti, lo sono; pertanto, non riusciamo a spezzare le catene. Allo stato dell'arte e della conoscenza non abbiamo molto altro da fare a livello di impianti, soprattutto stante la richiesta dell'Istituto superiore di sanità di portarci verso un limite pari allo zero, esente totalmente da PFAS. Non abbiamo modo con le tecnologie che ci sono oggi di...
Pag. 88
  PRESIDENTE. Ve lo chiede anche rispetto a quelle sostanze a catena corta!
  MASSIMO CARMAGNANI, responsabile per la ricerca e lo sviluppo dell'azienda Acque Veronesi. In tutti i 12 composti conosciuti!
  FRANCESCO BERTON, direttore generale dell'azienda Acque Veronesi. La richiesta è di valutarle tutte le sostanze e cercare di ridurle. È ovvio che raggiungere lo zero non è possibile, specialmente per quelle corte.
  PRESIDENTE. Esatto, non si raggiungerà mai lo zero perché, nel momento in cui si abbattono i primi, gli altri non si riescono più a trattenere. Mi sembra di capire, quindi, che il rischio è quello per cui la concentrazione di queste sostanze aumenti invece di tendere a diminuire.
  LAURA PUPPATO. Si pone, oltretutto, il tema delle catene corte!
  PRESIDENTE. In proposito, bisognerebbe capire anche se quelli a catena corta, da un punto di vista sanitario, abbiano o meno gli stessi effetti di quelli a catena lunga. È evidente che anche questo è un tema da approfondire. Per il momento vi ringraziamo delle vostre risposte. Se avessimo bisogno di ulteriori chiarimenti, vi disturberemo ancora. Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione del presidente del consorzio Arica, Antonio Mondardo
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del consorzio Arica, Antonio Mondardo, che ringrazio Pag. 89per la presenza. Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo di depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito di approfondimento che, come Commissione, stiamo svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente con riferimento all'inquinamento delle sostanze perfluoroalchiliche.
  Avverto il nostro ospite che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Prima di darle la parola, le ricordo che sull'argomento abbiamo ascoltato diversi attori, dalla procura di Vicenza, alla regione Veneto; abbiamo inoltre sentito l'ARPA Veneto, i sindaci e tutti i gestori nel settore delle acque; oggi ascoltiamo lei, poi avremo una serie di altre audizioni con l'Istituto superiore di sanità, per finire con il Ministero dell'ambiente, proprio per avere il quadro complessivo della situazione.
  Ho visto che ci ha inviato una relazione molto specifica riguardo alle situazioni che vi interessano più da vicino: potete descriverci brevemente le dimensioni del consorzio e il tipo di attività che svolgete? La invito altresì a fornirci qualche indicazione relativamente al vostro punto di vista sul tema.
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Io presiedo, da qualche mese, il consorzio Arica, che raggruppa le società dell'attività di gestione dei depuratori di Acque del Pag. 90Chiampo, Medio Chiampo e AVS, che, a loro volta, hanno più depuratori.
  Complessivamente il consorzio raggruppa cinque depuratori: in che senso? Era nata l'esigenza, tra gli anni Ottanta e Novanta, di spostare il deflusso delle acque depurate da questi depuratori al di fuori – a valle – della falda di ricarica, dal momento che il distretto produttivo Trissino-Montecchio-Arzignano-Lonigo ricade proprio in concomitanza della falda acquifera utilizzata soprattutto per scopi acquedottistici.
  LAURA PUPPATO. Lei dice che vi siete accorti negli anni Ottanta e Novanta che quella ricarica della falda aveva questo rischio di...
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Sì, ma non si parlava all'epoca di perfluorurati, bensì di spostare le acque depurate. Avendo queste una presenza importante di cloruri e solfati – quindi, una salinità – e anche la presenza di cromo, derivante dalle attività residue di depurazione del distretto conciario, era necessario e cautelativo salvaguardare la falda, spostando il deflusso di queste acque nei corsi d'acqua, laddove poi, per effetto diluitivo, potevano sopportare meglio il residuo inquinante, che rimaneva comunque nel rispetto dei parametri di legge imposti dal Ministero dell'ambiente.
  Il lavoro è proseguito e, all'inizio degli anni Duemila, si è realizzato quello che da noi viene chiamato il «tubone», che raggruppa le acque che derivano da questi depuratori, spostandone il flusso nel corso d'acqua del Fratta Gorzone, a monte dell'abitato di Cologna Veneta, dove adesso c'è un progetto in corso legato all'accordo quadro con il Ministero dell'ambiente e il distretto conciario per dare un ulteriore prolungamento e arrivare a sud, a valle dell'abitato, anche di Cologna Veneta stessa. Pag. 91
   Per quanto riguarda il fenomeno di cui la Commissione si sta interessando, abbiamo avuto informativa, come tutti gli altri enti coinvolti, nel giugno 2013 a seguito dello studio di ricerca poi reso noto. Fin da subito il consorzio ha individuato dei laboratori accreditati per le analisi. Da giugno – quando abbiamo ricevuto l'informativa – ad agosto abbiamo cominciato autonomamente a fissare dei limiti di scarico con presenza di perfluorurati all'interno del tubone. Non esistendo una normativa di riferimento su cui potessero esservi dei limiti, abbiamo cercato di perseguire un'obiettiva riduzione considerando le capacità tecniche dell'effetto depurativo delle società consorziate. In ogni caso, il trend è sempre stato di portare i valori, progressivamente, alla riduzione, dando il tempo, quindi, ai gestori di adeguarsi tecnologicamente per attivare processi di riduzione e di intercettazione dei perfluorurati.
  L'Istituto superiore di sanità, con una nota del gennaio 2014, propone un valore limite di performance in relazione all'applicazione di tecnologie per abbattere il contenuto di PFAS nelle acque destinate al consumo umano, con i parametri noti: 30 nanogrammi litro per quanto riguarda i PFOA e 500 nanogrammi per litro per perfluorurati a catena più corta (quindi, PFOA e PFAS).
  Nel marzo 2015 abbiamo avuto il rinnovo di provvedimenti e di autorizzazione allo scarico nel collettore consortile per gli impianti di Trissino, Arzignano, Montecchio, Montebello e Lonigo, con l'introduzione di valori limite per singoli composti che, autonomamente, con l'ausilio della regione, abbiamo cercato di indirizzare in riduzione di performance.
  Nell'agosto 2015 l'Istituto superiore di sanità individua dei livelli di performance per le acque potabili per i parametri dei perfluorurati BA e BS, nonché una somma complessiva per gli altri perfluorurati, sempre all'interno dei 500 nanogrammi. Le Pag. 92performance sono sempre state riferite alle acque potabili, quindi ciò era soprattutto indirizzato ai gestori del servizio idrico integrato per garantire l'acqua potabile ai cittadini di competenza. Poi c'è stata, con il decreto legislativo n. 172 e gli standard di qualità ambientale, l'introduzione – per la prima volta per quanto riguarda le acque superficiali e i perfluorurati – dei limiti. Di fatto, il decreto legislativo n. 172 recepisce la direttiva europea del 2013, n. 39.
  Nell'aprile 2016 abbiamo avuto una nota specifica dell'Istituto superiore di sanità che suggerisce dei valori limite per gli scarichi delle acque superficiali del territorio interessato, con la contaminazione standard ormai di 30 nanogrammi per litro per i PFOS e 500 per le altre catene di perfluorurati.
  PRESIDENTE. L'Istituto superiore si sanità ha dato, quindi, per le acque superficiali gli stessi limiti che per le acque potabili?
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Certo, ma qui nascono, a mio avviso – a nostro avviso – due problemi di natura tecnica: per le acque potabili ciò è comprensibile e, tecnicamente, si può intervenire – avete sentito i gestori – con i carboni attivi, cioè con filtri che hanno un costo; momentaneamente si sta facendo fronte, quindi, ma l'importante, adesso, è trovare una soluzione il cui costo non ricada nelle tasche del cittadino.
  PRESIDENTE. Nell'impianto di depurazione, invece, come si agisce?
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Ci sono effetti di depurazione ma, essendo il perfluorurato un composto chimico molto resistente, che non si modifica ambientalmente, molto spesso viene anche chelato all'interno della Pag. 93depurazione, quindi, paradossalmente, è più facile che troviamo presenze alte a fine depurazione piuttosto che all'ingresso dei depuratori: bisognerebbe trovare delle tecnologie.
  Richiediamo anche, con nota specifica al Ministero dell'ambiente, che si individuino le BAT (best available techniques) necessarie, soprattutto perché non è semplice equiparare i valori nelle acque discarico a quelli delle acque potabili: sono proprio due situazioni di base complesse. Potete trovare, proprio nel sito del Ministero, il lavoro svolto, soprattutto dal CNR, capofila di questo gruppo di lavoro, che sta effettuando una buona mappatura del fenomeno. Adesso ci troviamo ad avere, solo per il Veneto, questo limite consigliato dall'Istituto superiore di sanità, che presumo dovrà essere anche recepito in un decreto del Ministero dell'ambiente o in una norma generale, che però auspichiamo valga per tutto il territorio nazionale perché non avrebbe senso far ciò solo per il Veneto. Dalla nota dell'Istituto superiore di sanità sembra, invece, che ciò valga solo per il Veneto. Questo, però, comporterebbe anche dei problemi di concorrenza sleale nei singoli distretti produttivi. A mio avviso, quindi, è veramente importante ragionare tecnicamente. Consiglierei, davvero, di prendere a riferimento gli esperti del CNR che stanno affrontando questa situazione e non solo l'Istituto superiore di sanità. Per le acque superficiali, il problema va a mio avviso valutato in maniera diversa rispetto alla questione della potabilizzazione dell'acqua destinata al consumo umano. Logicamente, siamo anche alla ricerca di tecnologie a livello internazionale che possano avere affrontato precedentemente questo problema, proprio per riuscire a ridurre e tendenzialmente a portare a zero la presenza di perfluorurati nel corso delle acque di scarico che stiamo gestendo: ciò non è semplice tecnologicamente. In questo momento, dunque, siamo in presenza di situazioni di questo tipo.
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  LAURA PUPPATO. Ho due domande veloci. Lei ha detto che nel giugno 2013 il vostro consorzio, Arica, ha individuato dei laboratori accreditati per le analisi e che, autonomamente, avete provveduto sia a fissare i limiti di scarico, sia a valutare la condizione: ARPAV non era in condizione di farlo, non l'ha fatto, non intendeva farlo? Di solito, infatti, è ARPA che se ne occupa.
  In secondo luogo, vorrei anche chiederle di precisarmi un po' meglio – ma solo perché non conosco così bene la vostra situazione in loco – il tema del tubone: questo separa e convoglia le acque che provengono dalle aziende industriali del territorio? Com'è la situazione?
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Per quanto riguarda la prima domanda, il problema era quello di trovare un istituto di analisi accreditato ed esperto nell'individuazione di perfluorurati. ARPAV è accreditato sicuramente, ma qui serviva una conoscenza specifica, quindi ci siamo rivolti anche a dei laboratori, soprattutto tedeschi, che avevano affrontato in passato il problema (un problema già noto, che ha poi fatto maturare anche la direttiva dell'Unione europea sui limiti di tali sostanze nelle acque potabili).
  LAURA PUPPATO. Siete dovuti uscire dall'Italia, quindi?
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Sì. Poi, via via, si sono attrezzati anche altri laboratori, ma abbiamo deciso di andare da chi aveva anche una conoscenza tecnica e scientifica del fenomeno per esperienza acquisita. Per quanto riguarda la risposta legata alla gestione delle acque, noi raccogliamo le acque provenienti dai cinque depuratori, che le raccolgono dalle aziende produttive; a fine ciclo depurazione, le convogliamo per portarle a valle della falda di ricarica di Pag. 95Almisano, quindi non abbiamo la gestione diretta sul comparto produttivo.
  PRESIDENTE. Da chi è composto il consorzio?
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Dalle aziende titolari dei depuratori.
  PRESIDENTE. Dai gestori, di fatto: è un consorzio di gestori?
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. Sì e l'autorizzazione è regionale. Di fatto, per certi aspetti, siamo il braccio operativo della regione Veneto.
  ALBERTO ZOLEZZI. Avete qualche dato sui nuovi perfluoroalchili a catena corta? Immagino, comunque, che essendo più piccoli, siano anche più difficili da trattenere. Alla fine di questo collettamento, praticate anche voi un'ulteriore depurazione? Producete fanghi? Su questi fanghi avete dosato i perfluoroalchili? Aumentano le concentrazioni?
  ANTONIO MONDARDO, presidente del consorzio Arica. No, non produciamo fanghi, ma gestiamo il deflusso dell'acqua e imponiamo dei limiti con controlli quotidiani in ingresso perché si deve rispettare l'autorizzazione regionale, nonché l'accordo di programma sottoscritto con il Ministero dell'ambiente e la regione Veneto per autoriduzione di performance su alcuni inquinanti (e soprattutto sulla salinità dell'acqua). Interveniamo con dei raggi ultravioletti per cercare di ridurre eventualmente catene chimiche legate all'escherichia coli o altri batteri che possono essere, se rintrodotti in acque superficiali, nocivi per gli animali o l'uomo laddove venisse attinta per qualche motivo l'acqua. Non ci sono particolari fasi di depurazione; Pag. 96 ci sono lampade a raggi UV o altre strutture di questo tipo per abbattere ulteriormente e batteriologicamente le acque deflusse.
  Le difficoltà nel caso dei perfluorurati, che abbiamo indicato anche al Ministero, derivano, tra l'altro, dal fatto che esistono certe catene. Questi composti sono utilizzati in moltissimi sistemi produttivi: qualsiasi cosa usiamo ogni giorno, ha la presenza di perfluorurati, dai telefonini – ora non più – ai post-it, ma questa fu la causa che negli Stati Uniti fece nascere il noto problema. Abbiamo elencato tutte le catene di perfluorurati e ci stiamo concentrando, secondo le indicazioni dell'Istituto superiore di sanità, su 80-83 catene di perfluorurati; rimangono fuori altre 8-9 maxi catene che, a loro volta, ne producono altre 2-300. Abbiamo voluto indicare ciò al Ministero.
  Nel momento in cui si danno le concentrazioni sui perfluorurati residui sommati, esclusi quelli da riduzione di PFOA e PFAS, è necessario avere un quadro esaustivo, altrimenti rischiamo di non poter rispettare le performance tecnologiche di abbattimento e recupero del perfluorurato. Molto complessa, quindi, è l'attività che dovrà farsi anche dal punto di vista tecnologico; noi auspichiamo un'attenzione a livello normativo nel momento in cui si emetterà il provvedimento, altrimenti si rischia di creare problemi dal punto di vista della soluzione definitiva.
  PRESIDENTE. La ringraziamo per le risposte specifiche e anche per il materiale che ci ha consegnato. Se avremo bisogno, le chiederemo ulteriori approfondimenti. Dichiaro conclusa l'audizione.
  La seduta termina alle 19.50.